Chi ha dato uno sguardo al post sul mio saccheggio in libreria, magari si sarà chiesto/a come mai mi interesso di evoluzione…
Se dicessi che il tutto è partito da un corso universitario di Letteratura Latina, sarebbe tutto più complicato da spiegare. Continuiamo ad essere vittime di una gentiliana e persistente separazione disciplinare (nonostante tutte le belle parole che si sprecano ad auspicare/assicurare il contrario), alla luce della quale il massimo della collaborazione che si può avere tra campi del sapere differenti è una consulenza reciproca… Però poi ognuno continua la sua ricerca per conto proprio, come se l’altro non l’avesse mai incontrato.
Vis polemica a parte, diciamo dunque che un giorno, progettando un corso blended, mi sono ritrovata a leggere l’articolo di Telmo Pievani, Quella volta che siamo diventati umani, da cui cito…
In senso evoluzionistico, noi ancora oggi stiamo esplorando le potenzialità della rivoluzione paleolitica e ancora oggi facciamo i conti con la sua invenzione maggiore: la diversità culturale. In senso evoluzionistico, una definizione compiuta di che cosa significhi essere “umani” e di che cosa ci abbia resi così ambiguamente speciali ancora non ci è data. Sarebbe più preciso se, anziché “esseri umani” (human beings), usassimo il termine “divenienti umani” (human becomings).
Da questa lettura, “a cascata”, è emersa la necessità di sapere di più, di approfondire l’argomento e quindi mi sono trovata impelagata 😉 nel dibattito tra creazionismo e ultradarwinismo e ho scoperto le ricerche di Cavalli-Sforza ma anche Gould e concetti come “equilibrio punteggiato” e “exaptation”. Con Dawkins, ho aggiunto una doverosa – ma non per questo meno interessante – lettura (dato che ce l’aveva tanto con Gould 🙂 un motivo ci sarà!).
Dunque, immaginate la mia soddisfazione quando ho scoperto che Telmo Pievani sarà presente a Bari giovedì 26 Febbraio 2009 dalle ore 18:30 presso la libreria Feltrinelli.
Introdurranno la serata la prof. Franca Pinto (preside della facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Foggia) ed il dott. Peter Zeller (ricercatore di Storia della scienza presso l’Università di Foggia).
Non vedo l’ora… 🙂
Immagine: luxembourg (rosa)
Gavriel
24 febbraio 2009
siamo davvero diventati umani? 😛
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Maria Grazia
24 febbraio 2009
Come al solito fai osservazioni acute 😉 Dipende tutto da ciò che intendiamo per “umano”. La nostra costruzione culturale del significato del termine è “buonista” ma è lecito domandarsi se sia il caso di rivederne il senso… Buona giornata 🙂
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luca massaro
24 febbraio 2009
Scusa Maria Grazia se uso una metafora un po’ maschilista: ma dato che qualche anno fa, più o meno seguii lo stesso percorso che tu stai seguendo ora [pensa: ho addirittura parlato con Pievani in diretta su Radio Tre Fahreneit nella rubrica “caccia al libro”: stavo cercando “Il fenotipo esteso” di Dawkins], posso dirti sinceramente che questo è un percorso, come direbbe Ascanio Celestini, che ci porta via la “verginità”: niente sarà più come prima, da un punto di vista intellettuale, beninteso. Perlomeno così è stato per me. Infine, un consiglio spassionato di lettura: D.C.Dennett, L’idea pericolosa di Darwin, Bollati-Boringhieri. Buon incontro col prof. Pievani. 🙂
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Maria Grazia
25 febbraio 2009
Non c’è di che scusarsi… la verginità la perdono anche gli uomini 😉
La cosa non mi preoccupa un gran che. Il nocciolo della questione è la comprensione del perché del percorso.
A me non interessa dimostrare il primato del disegno intelligente sulla teoria evoluzionista (o viceversa) perché sono perfettamente d’accordo sul fatto che con i creazionisti non si discute “scientificamente” perché nulla di scientifico c’è nella loro “teoria”. E poi la diatriba non mi interessa minimamente. Mi bastano gli esaltati di casa nostra. Piccoli, ipocriti e ignoranti.
Lavorare nella formazione in età evolutiva implica un interesse, a mio parere, dovuto per il genotipo senza per questo farsene soggiogare ai danni del fenotipo. Lo sviluppo fisico ed intellettuale di un bambino rivela chiaramente l’esistenza di una danza misteriosa tra entrambi.
Ho notato, però, che a secondo della convenienza/influenza culturale (antropologicamente parlando), un inciampo genetico (per essere banali pensiamo alla sindrome di Down) sembra bastare per farci ignorare l’esistenza di un fenotipo e, soprattutto, azzerare tutta la peculiarità del singolo. Un down è un down e tutto ciò che fa sembra essere riconducibile solo a questa categorizzazione. Che si chiami Francesco, Giuseppe, Maria ecc. e possa essere di carattere testardo, arrendevole, ubbidiente, ecc. ce lo dimentichiamo.
Se poi andiamo a prendere in considerazione tutte quelle problematiche legate alla sfera comunicativa, la comprensione dell’evoluzione del genere umano da questo punto di vista risulta essere essenziale. Ma la cosa si fa ancora più complessa…
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