Sto attraversando un periodo di pensieri bui come quelle notti che non passano mai. Il silenzio di questo blog ne è riflesso. Mi ritrovo spesso a chiedermi che senso ha lo studio e la ricerca educativa in un contesto sociale, politico e culturale in cui tutti hanno altro a cui pensare e reputano che sia meglio farlo. Mi ritrovo a meditare sul senso di ciò che scrivo, faccio, penso, ipotizzo in merito. Se sia giusto chiudermi definitivamente nel mio recinto e buttare via la chiave. Non sono mai stata in grado di omologarmi alle regole accademiche e alle annesse piaggerie di ordinanza: non so se sia stata la mia salvezza (almeno dal punto di vista dell’equilibrio psichico) ma sicuramente non un vantaggio. Non ho una mente “lineare”, che riesce a stare ubbidiente nei comparti disciplinari di ordinanza e questo è una dannazione in un sistema in cui i feudi di potere sono marcatamente delineati dalle classi di concorso e dai settori scientifici di propria pertinenza: puoi parlare e scrivere solo su ciò per cui sei “autorizzata” da un sistema di classificazione in bilico tra la tassonomia scientifica e l’imprimatur divino.
Stamattina ho letto un articolo di Roberto Vecchioni sulla scuola, ho “sfogliato” l’album dei ricordi della mia collaborazione con Giuseppe Russillo e poi ho tirato giù un po’ di libri dagli scaffali cercando qualcosa che ancora non so cos’è. Vi lascio le tracce di questo meditare. Buona domenica.
***
Il problema dell’università è in definitiva legato al tipo di società che si vuole costruire: se si deve parlare di società della conoscenza e della cultura essa dipende proprio dal posto che si attribuisce al sapere e per estensione alla scienza in ambito sociale.
Dal Medioevo è, senza interruzione, generatrice di cultura, con la conseguenza che, malgrado i legami di sottomissione più o meno stretti con i differenti poteri, non ha mai cessato, spesso a proprio rischio, di essere una trasmettitrice di conoscenze innovative, originali emancipatrici.
Nel XIX secolo l’università è divenuta il simbolo della possibilità della scienza capace di liberare l’uomo intellettualmente e spiritualmente e di migliorare le condizioni materiali della sua esistenza.
Utopia? Oggi certamente, soprattutto se si guarda a ciò che è accaduto alla fine del secolo seguente: è stato con il maggio ’68, paradossalmente, proprio quando si è creduto celebrare il trionfo della libertà e dell’individuo sulle costrizioni della vita sociale, che si è determinato l’avvento di un ordine sociale e politico mondiale, che sembra aspirare al consumo come unico esito dell’esistere.
Cos’è la cultura? Santo Iddio è quel che dà un senso a quel che facciamo.
Il primo grande fondamento che ci dobbiamo mettere in testa noi insegnanti, noi educatori, noi genitori è quello di dare un senso, non immagini, grafici, guadagni, interessi, poteri, successi ma senso, significato ascritto del dolore che proviamo, della felicità che ci viene a meno e del perché.In questa baraonda infinita che è la scuola italiana (e chi non l’ha vissuta non sa quanto) mischiamo programmi inutili e professori tristi, regole invalicabili e terrori professionali, menefreghismi difensivi e fughe, compromessi, spaventi. Ma soprattutto tensioni al giudizio, al poter essere per un attimo nella vita, noi insegnanti, gli uomini del destino, perché nella vita e nella famiglia non lo siamo, perché la legge è legge, e poi, come nel bellissimo film di Jalongo, c’è la partita e non possiamo perdere tempo.
“E allora, Socrate, dà ascolto a noi che ti abbiamo cresciuto e non tenere in maggior conto i figli o la vita o qualunque altra cosa al mondo, più della giustizia, così che quando giungerai nell’al di là, tu possa esporre le tue buone ragioni a quelli che laggiù comandano”
Platone [da Critone]
“Chi sono io?” chiede Edipo a Delfi, ma è una domanda impertinente perché posta ad un oracolo che poneva come condizione del consultum gnoti te auton (conosci te stesso) scolpito sul frontone del tempio a mo’ di avvertenza ai questuanti. Edipo aggiungerà “di chi sono figlio?” e qui la presunta pertinenza si trasforma in richiesta di appartenenza, è in ballo l’identità sociale: essere figlio di re è ben altro che essere figlio di pastori, ora come allora.
A. Franza, da Rapsodia in margine a formazione tra antichi saperi e nuove competenze
Il pericolo di una resa epistemologica, di una colonizzazione di culture altre è dietro l’angolo. Quella che Ardoino definisce la problematica conflittuale della relazione, (7) sembra facilmente eludibile attraverso schemi orari e organizzativi che dimenticano nomi e storie dietro sigle e discipline. Il rapporto docente/classi e quello classe/numero di studenti accentuano, sempre più, la loro valenza meramente numerica. La formazione dei docenti è sempre più settorializzata e circoscritta in classi virtuali in cui l’assetto metodologico non viene valorizzato attraverso le tecnologie, ma viene dissolto in esse.
L’informazione si sovrappone alla conoscenza. Il quantitativo al qualitativo. L’educazione [di formandi e formatori] si trova limitata alle dimensioni dell’istruzione… Il tempo di studio non è più il tempo reale, il tempo personale in cui la disponibilità dell’essere potrebbe educarsi, includendo la storia e la vita affettiva. (8)
orsatosta
21 novembre 2010
non esiste una notte così lunga dall’impedire al sole di sorgere 🙂
e per nessun motivo al motivo al mondo, se siamo fatti tondi, dobbiamo costringerci a diventar quadrati, se questa è la forma del contenitore in cui ci troviamo.
Tutti passiamo dei periodi incerti, ma non mollare 😉 poi sorge il sole e le cose riassumono i contorni e le forme e i colori che ci fanno capire quello che prima ci sembrava incomprensibile.
"Mi piace""Mi piace"
ivana rosati
21 novembre 2010
Condivido questa tua stessa sensazione di disorientamento e di disagio, Maria Grazia, perchè negli ultimi tempi ho visto imbarbarirsi non solo contesti lontani ma anche contesti a me prossimi, familiari. Perchè non adeguarsi? Perchè quando l’anima è “sveglia” non la puoi più ingannare facendola assopire, non puoi diventare ciò che non ti piace, ciò che è lontanissimo dal mondo che vorresti e preferisci pagarne il prezzo salato. Ma è una dannazione che ha accompagnato gli uomini di tutti i tempi… Ieri sera mi sono “riconciliata” con il mio ottimismo con un concerto divino di Paco de Lucia e stamattina con un bellissimo articolo di Laura Tussi (“Il migrante dell’anima. Ovunque e in nessun luogo”) su http://www.educationduepuntozero. Seguo con molto interesse, il tuo blog 😉
Ivana.
"Mi piace""Mi piace"
Maria Grazia
21 novembre 2010
Grazie per i pensieri e gli apprezzamenti 🙂
"Mi piace""Mi piace"
Maria Grazia
25 Maggio 2013
L’ha ribloggato su Speculum Maiuse ha commentato:
Come nei vecchi diari, anche nei blog ci si ritrova a sfogliarne le pagine in maniera meditabonda…
"Mi piace""Mi piace"
adrianapa
25 Maggio 2013
Condivido il tuo stato d’animo denso di dubbi e perplessità, probabilmente amplificati dalla stanchezza dovuta alla fine dell’anno scolastico e all’esercizio di “bilancio” che consegue necessariamente al termine di un’attività o un percorso. E’ vero, l’omologazione dona alla mente certezze comode, ma insostenibili per chi è abituato a porsi domande, a cercare una direzione di senso nel proprio agire. Per questo sostengo che un approccio etico sia sempre necessario, non in senso fideistico, ovviamente, ma di assunzione di responsabilità. Responsabilità che, purtroppo, spesso non vengono condivise in un ambiente scolastico per elaborare e costruire insieme un progetto significativo. Così prevale la frammentazione, perpetuando modelli conosciuti, consolidati e spesso applicati non per convinzione della loro efficacia, ma per omologazione; ciò contribuisce a sminuzzare, ridurre e corrodere pericolosamente quella coscienza professionale che sola potrebbe farci tornare ad esercitare con efficacia e serenità il nostro lavoro, ridefinendo e restituendo chiarezza alle relazioni che si instaurano nell’esercitare la nostra professione, relazioni che dovrebbero essere innanzitutto di tipo professionale, ma che, invece, spesso assumono tutt’altra piega. D’altra parte ognuno di noi è figlio della propria epoca e, purtroppo, la classe insegnante non è esente da quelle storture di sistema nelle quali ciascuno di noi è immerso; la formazione, dunque, non può riguardare superficialmente dei contenuti o anche dei metodi, ma coinvolgere l’essere umano nella sua completezza. E’ facile, infine, slittare nel comodo ventre del “non pensare”, anzi, sempre più la nostra società ci induce a non riflettere e temo che le nuove generazioni ne siano ancor più vittime.
"Mi piace""Mi piace"
antonellarubino
25 Maggio 2013
Mi ci ritrovo pienamente. Grazie a te per averlo espresso così bene…come si dice: “mal comune…”
🙂
"Mi piace""Mi piace"
Maria Grazia
28 Maggio 2013
Roba antica 😉 ma mai troppo…
"Mi piace""Mi piace"
Maria Grazia
28 Maggio 2013
@adriana
per me non è stato facile adattarmi all’ambiente accademico e, in fin dei conti, devo dire di non essermi riuscita ad adattare affatto. Credo che questo nodo della ricerca sul campo e della ricerca accademica… sull’iperuranio sia un problema che, oggi più che mai, incombe maggiormente su tutti noi, in particolare in campo educativo. Il sistema sta implodendo perché non viene più ascoltata la riflessione proveniente da chi ci lavora nelle classi e non si limita a disegnarne gli schemi a tavolino. Le scuole sono state private delle risorse e delle possibilità di fare ricerca (che, non dimentichiamo, doveva essere uno dei primi fini dell’autonomia). O forse, più correttamente, sono state demotivate e scoraggiate a farlo da una politica che non ti interpella più e ti scodella l’ultima decisione presa con l’ennesima circolare di ordinanza. Ci vogliono impiegati perché agli impiegati è chiesto solo di obbedire alle consegne date. Ma non lo siamo, checché se ne dica 😉
"Mi piace""Mi piace"
soudaz
28 Maggio 2013
Reblogged this on Il Blog di Tino 2.0 Mah!.
"Mi piace""Mi piace"
sabinaminuto
29 Maggio 2013
L’ha ribloggato su sabinaminutoe ha commentato:
Trovo cose in comune con il mio sentire.
Soprattutto Vecchioni dice cose che voi umani che non frequentate la scuola da dentro mai avreste potuto credere. Ahimè!
"Mi piace""Mi piace"
soudaz
29 Maggio 2013
lo rileggo più tardi, ma mi trova concorde, di primo acchito
Ciao
Costantino
"Mi piace""Mi piace"
tnt54
23 giugno 2013
L’ha ribloggato su tnt54e ha commentato:
ribloggato da Speculum Maius
"Mi piace""Mi piace"
tnt54
23 giugno 2013
anche io l’ho ribloggato…
"Mi piace""Mi piace"
Claude Almansi
23 giugno 2013
Sono arrivata qui dal ribloggamento di Teresa e mi chiedevo come mai mi era sfuggito questo tuo post. Poi ho guardato la data: ecco, nel 2010 non seguivo ancora il tuo blog. Evvivano le reti di apprendimento/sicurezza.
L’ambiente universitario lo conosco solo tangenzialmente, per essere stata lettrice di francese in Inghilterra e in Italia negli anni. Quando ero arrivata al dipartimento di letteratura comparata dell’Università di East Anglia di Norwich nel 1975, era bellissimo: un dipartimento appena creato da due scuole (studi anglo-americani e studi europei), atmosfera molto informale e stimolante, anche grazie a un capo dipartimento tipo vulcano di progetti.
Nei 10 anni successivi le cose si sono notevolmente deteriorate, in parte a causa dei tagli del governo Thatcher, in parte per via di una certa chiusura su se stessa della comunità universitaria. Quando i docenti organizzavano cene, non parlavano più delle loro ricerche ma di chi scopava chi e di quanto rompevano gli amministratori dell’università. Il vulcano di progetti – nel frattempo c’eravamo sposati e avevamo avuto una figlia – non s’era spento, ma stava eruttando in altre direzioni: in effetti finì per mandare la carriera universitaria a quel paese per diventare giornalista freelance in Italia.
Però il dipartimento è sopravvissuto bene a quel periodo di marasma: anche nella vita accademica ci sono cicli, per fortuna. Questo tuo post è del 2010, sub Silvio Berlusconi quindi. Come stanno le cose adesso?
"Mi piace""Mi piace"
Claude Almansi
23 giugno 2013
Oops: “negli anni” -> “negli anni 1970-80”
"Mi piace""Mi piace"