I Greci appresero a guardare sé stessi con gli occhi di Apollo,
e a nutrire verso sé stessi lo stesso grandioso disprezzo.Non c’è esercizio più nutriente, lucido ed educativo:
solo chi conosce l’arte dei limiti, impara a superarli.
Sono in un momento di impasse.
Ho scoperto grazie alla Treccani che si tratta di un vocabolo proposto e adottato da Voltaire nel 1761 al posto di cul-de-sac. In italiano viene usato solo metaforicamente per indicare una situazione in cui è difficile prendere una decisione però mi sono voluta cercare lo stesso l’immagine di un’impasse parigina (by Alain Bachellier), e me la sono voluta scegliere romantica, visionaria, in bianco nero. Voglio guardarmelo bene questo conflitto, rigirarmelo tra le mani, sentire il rumore che fa, osservarlo in trasparenza…
Secondo Lewin, un conflitto è
“una situazione in cui forze di valore approssimativamente uguale ma dirette in senso opposto, agiscono simultaneamente sull’individuo”.
Il tipo apparentemente più innocuo è quello in cui il soggetto (in questo caso io) si trova davanti a due obiettivi diversi ma (più o meno) ugualmente appetibili che però non possono essere perseguiti contemporaneamente.
Il mio multiforme curriculum è la prova provata che questo tipo di conflitto è in realtà quello che temo di più e in cui mi esercito da decenni nella nobile arte dell’evitamento… evitando di scegliere.
Paradossalmente, mentre al convegno ci scambiavamo aneddoti neuro-psico-pedagogici, qualcuno mi ha fatto notare la pericolosità di paralizzarsi in questo tipo di situazioni, cosa a cui non avevo mai riflettuto (o voluto riflettere) in maniera approfondita (se invece volete saperne di più sulla teoria di Lewin, vi consiglio un mio vecchio post – con annessi vari ed eventuali – e questa curiosa presentazione in cui viene sintetizzata e applicata alla lettura dei Promessi Sposi ^_^).
Le sirene mi urlano sempre più forte nelle orecchie mentre sono consapevole che l’evitamento non è più una strada percorribile attraverso la non-scelta di fare tutto.
La teoria, se intesa come “conoscenza cercata per se stessa” [Kobau, 1993], si rivela altrimenti null’altro che un’istanza di controllo ipertrofica; un ulteriore strumento di distanziamento e mascheramento che rimanda all’infinito quel “ragionamento su ciò che vogliamo e non vogliamo fare e da cui risulta una decisione”, parte costitutiva della pratica insieme alla “facoltà di cogliere e giudicare i mezzi utili ad uno scopo e impiegarli”. [ibidem]
Questa roba era scritta nella mia tesi di clinica della formazione, in cui però ho scritto anche che “il sollievo della scoperta non serve sempre a lenire il dolore della consapevolezza”. Il che in soldoni ci ricorda che essere consapevoli delle cause – anche lontane e implicite – che ci bloccano, non è garanzia di rimozione del blocco stesso.
E’ ora di rimettersi in cammino. Ricominciamo dall’inizio allora…
orsatosta
26 novembre 2011
me lo sono riletto tre volte, in tre momenti diversi….. l’ho centellinato come una coppa di rosolio…. impasse. ecco. e chi lo sapeva che l’ha inventato Voltaire? è la stessa parola che avevo scritto giusto due giorni fa….. ma il motivo è diverso. Grazie per questo bellissimo post, ho passato una nottata a cercare nei mei amici libri quello che non riuscivo nemmeno a contornare a parole, poi leggo qui e trovo innumerevoli spunti e balenii 🙂 bellissima anche la fotoclip: buon viaggio e mettiti scarpe comode 🙂
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Maria Grazia
26 novembre 2011
🙂
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