Un paio di studentesse della blogoclasse di Andreas hanno lanciato via mail la richiesta di contributi
per ampliare le nostre riflessioni sulla multimedialità, sulla necessita/non necessità della multimedialità per educare… insomma qualcosa che reputiate pertinente alla nostra provocazione e che potrebbe essere un contributo per implementare il nostro incontro
Anche stamattina, sfortunatamente, sarò in altre faccende affaccendata ma questa è la prima tranche del mio contributo, in diretta dalla mia tesi di dottorato ;-). Chi mi legge da un po’, riconoscerà la sintesi delle riflessioni che in questi anni si sono affastellate in questo blog e disperse in articoli vari. Se il primo pomeriggio mi assiste, ho in animo (oddio! Sto pensando e scrivendo come mia nonna!) di buttare giù il post su cui rimugino da qualche giorno su questi benedetti ebook scolastici.
Ma procediamo con ordine…
***
Riccardo Massa (1997, 8 ) ha sottolineato come le pratiche educative presentino una particolare resistenza al cambiamento, non perché “siano finalizzate alla custodia delle tradizioni piuttosto che all’innovazione sociale, ma perché attivano quanto di più profondo e nascosto determina i significati del pensiero e dell’esperienza”.
E’ forse per questo che il termine innovazione, soprattutto se abbinato a nuove tecnologie, viene continuamente usato (e abusato) per aggirare le reali emergenze dei sistemi educativi o per dissimularle dietro scintillanti paraventi tecnologici.
Il primo livello di consapevolezza da raggiungere allora, è quello che l’origine della crisi in cui versano i sistemi educativi dei paesi avanzati ha natura diversa dall’emergenza adattiva scaturita dall’esplosione del mondo digitale e delle sue relazioni reticolari sul mondo della conoscenza e della formazione.
Ciò che è andato in crisi è la forma (Massa 2004) delle istituzioni formative e il loro funzionamento, fatto di cose da imparare a memoria, da ripetere pedissequamente al momento e nel modo stabilito, in cui “nessuno può essere competente se non nei limiti ristretti della propria specializzazione” (Ardoino 2001, 18). E’ il dispositivo pedagogico [vedi nota in calce] tradizionale – nato per “rendere docili i corpi erogando saperi distinti, in riferimento a norme predeterminate” (Massa 1997, 131) – ad essere palesemente inadeguato ad un mondo in cui il networking cambia le condizioni infrastrutturali per il prodursi della conoscenza, favorendo e inglobando dinamiche informali e conoscenza tacita (Calvani 2005).
Ciò comporta che l’azione di modellamento cognitivo delle nuove generazioni da parte dell’ambiente tecnologicamente interconnesso in cui nascono e crescono (Ferri 2008), contribuisce ad aumentare la divaricazione tra quel dispositivo pedagogico “debole” (Mantegazza 2001) – rappresentato dal sistema di vita in cui siamo immersi e dall’apprendimento informale che ce ne deriva – ed il dispositivo pedagogico forte, intenzionale, del sistema formale, in gran parte intrappolato in un sapere settoriale e statico ed in una comunicazione monodirezionale che, al di fuori dei suoi confini e dei suoi manuali, non ha più senso.
Il che rende sempre più urgente la necessità di realizzare un nuovo rapporto di congruenza tra il sistema di vita della nostra società e la realtà educativa (formale e non formale) che la caratterizza, pena il trasformarsi in un fattore di indebolimento e scompenso reciproco (Orefice 1995).
Non prendere coscienza di ciò, illudendosi che le ICT facciano comunque al caso e che possano risolvere da sole un tale problema, significa condannarle a venir piegate al dominante principio di “prestazione intellettuale” e ad essere dissolte nelle prassi didattiche usuali, lasciando immutate le caratteristiche del dispositivo pedagogico in atto.
Nota: “’Dispositivo’ è termine che abbiamo ripreso da Foucault e teorizzato per primi in pedagogia, ma che oggi viene usato disinvoltamente per indicare qualsiasi elemento normativo e istituzionale. Quando dovrebbe evocare il sistema incorporeo delle procedure in atto nell’istituzione scolastica e in qualunque situazione educativa” (Massa 1997, 130-131).
serena
17 dicembre 2011
Grandioso!
🙂
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Maria Grazia
17 dicembre 2011
Direi conciso e compendioso (sempre in “nonna-style”) 😉
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Claude Almansi
17 dicembre 2011
Grande analisi, e non si può che concordare con il tuo ultimo paragrafo:
Non so in Italia, ma in diversi cantoni svizzeri, l’introduzione delle ICT a scuole si è accompagnato da una soppressione dei “corsi di informatica”, imponendo ai docenti di tutte le altre materie il compito di inserirle nel loro insegnamento.
Una buona idea in teoria, ma che si è imbattuta in due problemi:
Anche se almeno dai primi anni 90, le direttive ufficiali parlano di insegnamento incentrato sull’apprendimento dell’allievo e sui progetti collaborativi – cose per le quali le ICT potrebbero essere utilissime, specie quelle Web 2.0 – in pratica queste direttive sono difficili da implementare: numero di allievi per classe, programma da coprire – o aspettative non aggiornate dei colleghi delle scuole di gradi superiori rispetto a questo programma, anche se è stato aggiornato in funzione di quelle direttive. (1)
un aggiornamento inadeguato dei docenti nel campo delle ICT, con l’accento posto su tecnicismi più che su cosa consentono di fare per applicare queste direttive.
È proprio dalla facilitazione dell’applicazione di una pedagogia per progetti collaborativi e incentrata sull’apprendimento degli allievi che bisognerebbe iniziare. Vedi Tessiamo la ragnatela, il blog della classe 1G Scuola Media “Cecco Angiolieri” di Siena il cui docente, profmau, partecipa anche lui alla blogoclasse di Andreas: gli allievi vi pubblicano recensioni di libri e ne discutono, anche con persone esterne alla classe.
L’idea delle recensioni scritte da allievi non è nuova: c’erano anche sul giornalino pubblicato dalla scuola elementare del Sodo di Cortona (AR), 25 anni fa (lo so perché ci andava mia figlia). Ma l’uso di un blog consente di aprire la discussione agli esterni, appunto, e di ridurre i costi: il giornalino del Sodo era pubblicato con una fotocopiatrice, e in parte finanziato dalle famiglie che lo compravano.
Su quel giornalino, c’era anche una rubrica in e sul dialetto locale, tenuta da un bambino che era arrivato da Mosca due anni prima: bell’esempio di integrazione riuscita. Oggi, la potrebbe fare a mo’ di podcast audio o persino video, semplicemente con un telefonino (o una webcam o un dittafono, meno costosi).
Certo, la formazione degli insegnanti dovrebbe anche coprire certi aspetti tecnici: cos’è un’identità digitale, come valutarne le condizioni stipolate dalle condizioni d’uso e dalla dichiarazione di privacy di ciascuna piattaforma. Far notare loro le somiglianze strutturali di quasi tutte le piattaforme, in particolare il menù d’aiuto. Ma sono cose secondarie, facili da imparare.
(1) Esempio: nel 98, in Ticino, sono passata da liceo alle scuole medie. Un giorno vedo una collega che fotocopiava esercizi sul passato remoto (passé simple) in francese, un tempo verbale che nessuno usa più, salvo qualche scrittore un po’ “précieux” (nel senso che Molière dava alla parola). E il programma del liceo delle medie non lo menzionava – men che meno quello delle medie. Le dico: “Ma scusa, quando insegnavo a liceo, fino in classe di maturità, chiedevo soltanto agli allievi di saper riconoscere il passé simple, mica di saperlo usare!” Lei: “Forse tu sì, ma certi tuoi ex-colleghi protestano che non si fa un tubo a scuola media se i ragazzi non lo sanno usare.”
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Antonello Maiolino
17 dicembre 2011
Niente male come nonna… quello che ho notato durante il mio percorso di insegnante (non sempre convintissimo) di materie scientifiche e utilizzatore nel recente passato di “nuove tecnologie” è stata la sconfortante inutilità di qualsiasi tentativo di sensibilizzazione rivolta ai docenti e la grandiosa risposta che si riesce ad ottenere non appena si offre agli alunni la propria disponibilità ad interagire con loro attraverso linguaggi alternativi alla dialettica io dico, tu ripeti.
Gli alunni, vista l’età, tendono ad essere generosi con chi mostra loro qualsiasi forma di apprezzamento, stupore, per ciò che sono in grado di fare; se esiste una risorsa nella scuola su cui fare affidamento, a cui agganciare qualche speranza sono loro… io proverei a ipotizzare qualcosa che costringa i docenti ad ascoltarli.
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profmau
18 dicembre 2011
Ciao Maria Grazia, visto che Claude mi ha (generosamente) citato, colgo l’occasione per presentarmi ed intervenire. Sono un collega che da sempre crede nell’uso delle nuove tecnologie nella didattica, prima come corsista “affamato”, poi come funzione ICT, infine come tutor Ansas (Toscana). Mi occupo soprattutto di LIM e web 2.0 e Blog, ma mi propongo di inoltrarmi anche in altri territori (social network e tablet). Sostanzialmente, al di là dei molti corsi, sono un autodidatta (cosciente dei con i lati positivi e negativi che questo comporta…) Sono già 5-6 anni che lavoro con il blog di classe e sempre con ottimi risultati educativi. Per prima cosa vorrei precisare che il blog (Tessiamo la ragnatela) che ho avviato quest’anno è sostanzialmente ancora in fase di lancio (molto semplice si vede…), nel senso che lo sto sfruttando pochissimo come strumento per la didattica “disciplinare”. Questo perché adesso il mio obiettivo (ho una Prima) è quello di saldare e rafforzare i meccanismi di gruppo-classe, creare un sereno clima di accettazione e cooperazione tra alunni, ed insieme fiducia nel rapporto alunno-docente. Per molti bambini il blog è una novità (eccitante) che acquista in efficacia se diviene uno spazio che sentono loro (non “strettamente” il blog del docente), che sia non solo una sorta di prolungamento della vita di classe (il tempo scuola, altro problema italico..), ma anche una piazza in cui si aprono all’esterno, agli altri… Il Blog in questo percorso mi sta aiutando molto… Da un’altro lato sto coinvolgendo i genitori, prima illustrando e spiegando loro questo strumento e le finalità didattiche, ma anche ascoltando e rispondendo ai loro dubbi. Soprattutto gli ho proposto di tenerne un loro BLOG, per comunicare e conoscersi meglio (anche questo serve), per parlare delle loro iniziative per la classe, per riflettere su problemi e dubbi comuni, ma anche, perché no, sui loro interessi particolari…. Hanno accettato con entusiasmo! Lo hanno già aperto e con qualche piccola nozione tecnica sarà presto attivo… Siccome noi docenti siamo convinti che per educare i nostri giovani dobbiamo conoscere e parlare anche con i nuovi linguaggi, come non pensare che debbano conoscerli anche i genitori… Credo molto in questo coinvolgimento positivo, nel creare un’unica onda alunni-genitori-scuola (i meccanismi non sono semplici e la gestione dei ruoli va ben calibrata), quando questo meccanismo funziona però la ricaduta sul nostro lavoro con la classe è notevole.
Sono stato troppo lungo, e forse sono andato fuori tema, ma volevo solo aggiungere qualche spunto a quanto affermavi nel post (che condivido in pieno) su un’utilizzo delle ICT in ambito educativo. Un uso concordo, come diceva anche Claude, non esasperatamente tecnico né fine a sé stesso, che non passi come il nuovo sapere “imposto”, ma che invece sia strumento flessibile e si adatti ai soggetti con cui dialoghi, agli obiettivi pedagogici a cui miri… Certo la formazione dei docenti non può prescindere da una formazione tecnica di base… ma questo è l’altro grande tema diceva anche Antonello…
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Maria Grazia
18 dicembre 2011
Non riesco ancora ad avere il tempo di rispondere ma vi leggo 😉
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maurizia
18 dicembre 2011
Sono d’accordo con profmau nel considerare i genitori nostri alleati e non la controparte; come dico sempre ai nuovi colleghi , occorre coinvolgerli, fa capere il senso di ciò che proponiamo ai loro figli per far nascere in loro la fiducia.
La nostra scuola (mia e di Stefano Merlo ) ha cercato fin dagli anni novanta di far utilizzare ai bambini le tecnologie in modo collaborativo: gli alunni comunicavano e comunicano ( il progetto continua) con compagni di scuole geograficamente lontane, ma vicine tramite Internet.
Per vincere la diffidenza, le paure, le ansie dei genitori, avevamo proposto loro di vivere la stessa esperienza dei loro figli; utilizare Internet come i loro figli.
Durante le feste di fine anno delle scuole della Rete” Il bambino Autore” , avevamo aperto i laboratorio ai genitori e avevamo proposto loro di realizzare una delle attività che avevamo coinvolto i bambini: ” Il giallo il colore del brivido”, realizzazione di un racconto giallo a più mani.
I genitori della nostra scuola hanno raccolto con entusiasmo la sfida e scritto un giallo con genitori di altre scuole che nello stesso momento erano collegati.
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Andreas
18 dicembre 2011
Altro che fuori tema …
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Maria Grazia
18 dicembre 2011
Come vedete, Andreas aveva tutte le ragioni a… sollecitarvi 😀 a portare alla luce le vostre voci. 😉
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luigi macchi
19 dicembre 2011
molto interessante la discussione… pochi minuti prima di andare a scuola posso solo condividere quanto scritto e porre alcuni punti:
* nuove tecnologie senza nuova didattica (ricerca cioè di un plusvalore aggiunto nel fare scuola) sono davvero un paravento di cose vecchie, ben mascherate di nuovo; o peggio ancora una deriva nella gestione del processo educativo e di insegnamento….
* l’insegnante (colui che mette il segno) deve forse modificarsi in tutor, accompagnatore di un processo di apprendimento costruito insieme, aperto realmente alla rete…
* diventa evidente acquisire competenze in questo ambito: competenze tecnologiche per sapere e conoscere le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie; competenze didattiche per addomesticarle al processo formativo; competenze relazionali e competenze metacognitive di riflessione costante sul proprio operare, per accompagnare, progettare, rimodellare e percorrere un processo…
…
ad altro tempo per approfondire
buona giornata…
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luigi macchi
20 dicembre 2011
vien da dire: sono inadeguato? forse sì… è ora della pensione ma… Monti ci ha messo lo zampino…
però cerco di abbandonare un ragionamento tassonomico e logico sulla pedagogia e la didattica, sulla scuola e la sua organizzazione e lascio liberi i tag nella mente per addensare volutamente delle questioni, solo per capire se ho sbagliato foresta, nel senso che appartengo ai pigmei di fronte ai baobab…
la tecnologia fuori dalla scuola preme e le persone creano rete; rete di conoscenze, rete di relazione che chiamano virtuale ma tale non è perchè trasmette emozioni, incapsula il pensiero, libera sogni e costruisce contatti che spesso si fisicalizzano o, perlomeno nel pensiero, immaginano e cercano un corpo, uno sguardo, un profumo, un sorriso … un pianto… si condividono pensieri e conoscenze e si costruiscono conoscenze…
la scuola sembra fuori target e fuori combattimento… da trent’anni sento parlare di riforme e solo virgole sono state scritte, perchè la scuola è ancora avvinghiata su un ramo come un vecchio bozzolo, stretto da vincoli e lacci. non è una realtà complicata per la quale si potrebbe trovare il bandolo della matassa ma senz’altro complessa con la quale convivere senza avere una soluzione ma solo contributi di solidale rinnovamento…
una riforma mancata sono i docenti: nessuna teoria o lezione frontale potrà mai aggiornare (rendere nel giorno d’oggi) i docenti… devono provare, fare esperienza, la stessa che poi vorranno far fare ai loro alunni… ora la formazione e l’aggiornamento sono un diritto/dovere (?!)… che favoletta…
le tecnologie sono mediatori,opportunità, risorse… ma bisogna saper mediare: l’azione di mediazione educativa e pedagogica è ancora il compito della scuola? penso di sì e gioca sulla relazione; relazione che abbraccia e include; ravviva e potenzia; ama l’errore come risorsa; l’incertezza come liberazione del pensiero; sostanzia la difficoltà con la ricerca di strategie e conferma la diversità come ricchezza l’uno per l’altro… esplode nella e dalla conoscenza l’identità e la rende amante del simile e dell’apparente diverso…
la famiglia ed i genitori sono la scuola, ma quante resistenze ancora a costo di emerite figuracce, perchè i genitori ora ne sanno più degli insegnanti che sguainano ancora la penna rossa ed il libretto delle note…
la scuola è anche un processo: molto saggio il profmau che usa le tecnologie ma tiene conto del processo, cioè l’età in cui sono i suoi alunni: favorire il clima della classe…
i bambini sono ancora bambini? penso di sì… montessori non è ancora da dimenticare forse… voglio dire che i passaggi della corporeità, del vissuto del fare esperienza di nello spazio tridimensionale (forse prima o assieme al cyperspazio…) non possono essere saltati… per questo forse rimpiango il vecchio logo e Papert…
l educazione non è questione solo di tecnica ma di relazione… tirar fuori il pensiero è ancora maieutica? Socrate nel cyberspazio cosa farebbe?
alla seconda puntata…
ma forse ho sbagliato davvero la foresta…
facciamoci almeno coraggio
luigi
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Maria Grazia
20 dicembre 2011
Io non credo che nessuno riesca a sentirsi “adeguato” se fa questo mestiere… A me sembra di ricominciare ogni volta da capo. E sento il bisogno di studiare, approfondire, cercare mediazioni adeguate a chi mi sta davanti… Siamo nella stessa foresta, credo 🙂 Anche per farci coraggio reciprocamente, se ne abbiamo bisogno. Non pensi?
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Maria Grazia
23 febbraio 2013
Reblogged this on Speculum Maius and commented:
Questo vale la pena ribloggarlo…
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Roberta
23 febbraio 2013
Veramente come affermava Claude anch’io in tempi passati ho valorizzato i prodotti degli alunni (testi, poesie) utilizzando la macchina da scrivere, il ciclostile, poi la fotocopiatrice e il computer, solo come forma di videoscrittura. Era questo il passaggio che mi mancava:la auspicabile diffusione condivisione in rete, magari con forme collaborative di attività con gli altri insegnanti della blogoclasse.
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Maria Grazia
23 febbraio 2013
Ho fatto bene a ribloggare il post allora 🙂 Oggi mi sono ritrovata a leggerlo per caso e la discussione che era seguita l’avevo trovata molto attuale ancora…
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