Il nuovo modello inclusivo proposto dal MIUR

Posted on 10 Maggio 2013

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[II parte de La bacchetta magica per l’inclusione]

“Non si cambiano i sistemi formativi semplicemente additando loro *un modello ideale da seguire* ma occorre partire necessariamente da ciò che sono, da ciò che fanno e da come lo fanno…”

MGF ricordando gli insegnamenti di Giuseppe Russillo

A partire dalla definizione di innovazione pedagogica come

“processo che ha come intenzione un’azione di cambiamento e per mezzo l’introduzione di un elemento o di un sistema in un contesto già strutturato” [vedi slide 2],

per comprendere meglio il tipo di cambiamento che la  Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 [pdf] sui Bisogni Educativi Speciali (BES) e la successiva Circolare 8/2013 [pdf] vorrebbero attuare, partiamo dalla definizione dei “contorni” del contesto già strutturato, rappresentato dal quadro legislativo precedente ai documenti in analisi e dalla sua applicazione nel fare scuola quotidiano.

Per farlo, vi propongo in primo luogo un raffronto tra il modello normativo incluso nelle Linee Guida per l’Integrazione scolastica e i risultati di una ricerca indipendente – presentati da Dario Ianes al Convegno Erickson (2011) – sulla percezione degli insegnanti in merito alla qualità della stessa.

Per quanto riguarda le Linee Guida, Salvatore Nocera sottolinea come questo documento

data la sua stessa natura… può essere considerato non già un punto di arrivo delle politiche scolastiche, quanto un punto di partenza per un rilancio di una maggiore qualità dell’integrazione scolastica…

mentre gli esiti della ricerca evidenziano i limiti e le pecche di un sistema che procede su binari paralleli per i bambini/ragazzi “con o senza certificazione”, sottolineando la persistenza di una didattica “vecchia” e non inclusiva (che – a voler essere sinceri – non va bene proprio per nessuno, a prescindere dal bisogno educativo di cui si è portatori) e i limiti organizzativi di un sistema (classi pollaio, precarietà/riciclo dei docenti specializzati, indebolimento di una visione culturale “inclusiva”, ecc…) che agevolano l’affidamento dell’alunno con disabilità al docente specializzato, come se i curricolari fossero estranei alla vicenda. Chiunque abbia esperienza di scuola (da docente o da genitore) sa perfettamente di cosa stiamo parlando.

La strutturazione del contesto da innovare fa emergere dunque come bisogno prioritario del sistema quello di una politica non contraddittoria in merito a: 1) reclutamento e formazione dei docenti; 2) risorse; 3) condizioni di lavoro degli insegnanti (a partire dal numero di studenti per classe); 4) valutazione degli esiti di quanto dichiarato nei PEI e di quanto effettivamente realizzato (l’elenco potrebbe continuare ma, al momento, mi fermo qui).

In questo quadro sistemico, l’elemento che dovrebbe risolvere queste problematiche è il Piano Didattico Personalizzato introdotto nella scuola con la L.53/2003 da Letizia Moratti e non a caso indicata come norma primaria di riferimento dalla Direttiva (pag.2), insieme alla L. 170/2010. Per includere tutti e migliorare la didattica nella scuola italiana, dunque, cosa si fa?

1) Si introduce il gran calderone dei BES, in cui sembrano liquefarsi sia la storia e la peculiarità del processo di integrazione scolastica italiana, sia le risorse, gli organismi e le procedure che la L.104/1994 riserva alle persone con disabilità (che, a differenza degli altri BES, usufruiscono degli insegnanti specializzati di sostegno). Tenuto conto che la proposta TRELLLE è stata la prima a parlare di BES esattamente come ne parla la Direttiva (vedi slide 10) e non trascurando l’opacità di questa sigla onnicomprensiva e degli effetti che avrà su chi usufruisce della L.104 succitata (con relativo allarme di tutti gli interessati), non è strano che Salvatore Nocera abbia dovuto esplicitamente ribadire la sua contrarietà a tale progetto, del resto autorevolmente avallato…

2) “Si evidenzia, in particolare, la necessità di elaborare un percorso individualizzato e personalizzato per alunni e studenti con bisogni educativi speciali, anche attraverso la redazione di un Piano Didattico Personalizzato, individuale o anche riferito a tutti i bambini della classe con BES, ma articolato, che serva come strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti ed abbia la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate” (pag.3). Come faccia, un PDP, a essere personalizzato e collettivo allo stesso tempo, lo ignoro, tenendo conto dell’incongruenza (non solo logica) con il modello l’ICF di cui ci si fa tanto vanto.

3) Si vagheggia fumosamente di formazione universitaria dei docenti sull’intero scibile della disabilità, senza specificare i destinatari né le risorse con cui questi corsi andranno finanziati (pag.4).

4) Si esalta il ruolo dei CTS, con il rischio di far passare l’idea che “un ausilio faccia sempre al caso” e sottovalutando la complessità della scelta della tecnologia più adeguata a “quella specifica persona” (si veda ad esempio il protocollo SETT proposto da Kate Ahern di cui abbiamo scritto qui).

In estrema sintesi, il nuovo modello di inclusione proposto passa attraverso l’etichettamento capillare di una platea di alunni e studenti molto vasta ed eterogenea come portatori di Bisogni Educativi Speciali e la frantumazione dell’azione didattica rivolta al gruppo classe in un numero imprecisato di percorsi personalizzati che – tenendo conto della discutibile scelta di far rientrare in questo coacervo di bisogni anche le deprivazioni socio-culturali di vario tipo – possono dar vita (nei contesti a rischio) a classi composte interamente da alunni/studenti ognuno con il suo PDP. Del resto questo era il proposito “pedagogico” della riforma Moratti che, applicato in questa maniera, rischia di creare un vero e proprio stigma nei confronti della fascia più debole della popolazione scolastica.

Inoltre si emana una Direttiva che non tiene in alcun conto la situazione di profonda crisi in cui versa il nostro sistema scolastico a causa della forsennata politica di tagli di cui continua a essere oggetto, che rende offensivo (prima ancora che risibile) l’accenno ai compensi per le riunioni (auspicabilmente mensili) del Gruppo di lavoro per l’inclusione (di cui si legge a pag.5 della Circolare), quando i Fondi di istituto sono stati prosciugati e i supplenti devono sperare in una lotteria per essere pagati.

Concludendo: se, come è stato più volte ribadito, questa Direttiva non è finalizzata a sottoporre a ulteriori tagli il sistema scolastico attaccando il sostegno, come si pensa di realizzare tutto questo a costo zero?

Come mai si prevede un Piano annuale per l’Inclusività (pag.5 della circolare) e poi ci si dimentica di inserire gli indicatori per valutarne gli esiti a livello nazionale o si lascia ai Dirigenti Scolastici [pdf] la decisione se includere o meno (ed è proprio il caso di dirlo) i ragazzi con BES nelle prove INVALSI? Non è stata proprio la mancanza di valutazione (individuale quanto sistemica) a indebolire il modello di integrazione scolastica della scuola italiana, svalutandolo agli occhi di gran parte dei suoi docenti (per tacere degli operatori delle ASL)?

E perché, prima di innestare forzatamente il concetto di special educational needs nei PDP, non si è guardato al panorama internazionale per proporre la visione – molto più trasversale e coinvolgente – dell’Universal Design Learning? Non è piuttosto questa una prospettiva più rispettosa delle diversità individuali, in grado al tempo stesso di avere una ricaduta benefica per tutti gli studenti e per la professionalità degli insegnanti?

E, soprattutto, perché i genitori – costretti sempre più spesso a ricorrere ai tribunali per far valere i diritti dei propri figli e il rispetto della normativa – dovrebbero ora fidarsi?

Maria Grazia Fiore
docente curricolare
referente regionale per la Puglia dei Genitori Tosti

Nota: prevedo di scrivere almeno un altro paio di post sull’argomento, per completare l’analisi in corso. Se siete interessati alle prossime puntate, rimanete sintonizzati 😉