Intervallo teorico-pratico nel filone di discussione sui BES per evitare che diventi alienante… Nella mia “scaletta”, l’argomento doveva essere trattato dopo ma trovo onestamente deprimente continuare a discutere di tutto tranne che di didattica. E allora mi concedo questa “inversione” di programma. MGF
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E a forza di parlare di inclusione (integrazione mai sia! Non va più di moda…), mi sarebbe venuta voglia di passare dalle parole ai fatti, invitandovi a pensare alla prima “barriera” (intesa in senso ICF) che si frappone tra il docente e gli studenti (di qualsiasi bisogno educativo siano portatori) una volta chiusa la porta dell’aula: il linguaggio verbale. E questo non riguarda solo le persone con Bisogni Comunicativi Complessi ma chiunque debba fruire della comunicazione del docente per fare, imparare, interagire…
Chi non ha mai sperimentato la frustrazione di non capire assolutamente nulla di una lezione in cui il relatore infarcisce il discorso con tutti gli arzigogoli possibili e immaginabili, con la finalità (talvolta inconsapevole… ma solo talvolta) di scremare l’uditorio, di rivolgersi solo a chi può capirlo, di “alzare una barriera” tra chi parla e chi ascolta? Oppure, quante volte si sbaglia comunicazione perché si ritengono facili i concetti da spiegare perché noi li riteniamo tali?
Facciamo un esempio facile facile 😉 e consideriamo il concetto di uguale. Troppi pensano che non ci sia concetto più semplice da spiegare e acquisire. Eppure non si tiene conto, ad esempio, che qualcosa/qualcuno risulta uguale a un’altra cosa/persona in base al contesto e alla finalità in cui si fa questo ragionamento e che non tutti colgono immediatamente questo tipo di informazioni. Leggetevi un po’ come possiamo utilizzare la parola uguale sul sito della Treccani per fare il punto su ciò che sto dicendo… Ne consegue che il tipo di segno che utilizzerò per veicolare il significato, potrà facilitare o ostacolarne la comprensione.
Per chi è particolarmente interessato all’argomento, consiglio di approfondire la semiotica di Charles S. Peirce (un’introduzione essenziale la potete trovare in questa mappa su Mindomo, disponibile anche in formato html) che mi ha profondamente sostenuto, in questi anni, nello studio della “lingua come barriera”. Tre concetti, in particolare, vorrei però che teneste presente per cominciare a riflettere seriamente sulla vostra comunicazione didattica, anche se non avete alcuna voglia di studiarvi Peirce :):
1) il segno è la forma sotto cui le cose si danno a noi come conosciute;
2) il segno determina nella nostra mente una certa idea dell’oggetto rappresentato (interpretante);
3) i segni hanno un diverso grado di “trasparenza” determinato dal grado di somiglianza con l’oggetto stesso (chi conosce la Comunicazione Aumentativa Alternativa sa bene di cosa sto parlando). Io posso pronunciare “uguale”, posso scriverlo, posso disegnarlo, posso mimarlo, posso trasformarlo in uno o più pittogrammi…
E’ da circa un annetto che sto lavorando a un progetto di “didattica accessibile” (copyright mio :-P), in cui ragiono su come utilizzare per tutti strumenti solitamente riservati alla cosiddetta didattica speciale. Uno di questi è rappresentato da flashcard finalizzate a sostenere/integrare la comunicazione verbale del docente nei confronti del gruppo classe. Nella scuola primaria si fa un grande utilizzo di flashcard nell’insegnamento della lingua straniera e, da questo punto di vista, sono un mediatore didattico familiare per i bambini (tutti).
Non mi soffermerò sulle modalità di utilizzo di questi supporti visivi né sulla cornice teorica che li accompagna (se avete pazienza, qualcosa uscirà presto… spero), ma non posso non segnalarvi la curiosa traiettoria che ha avuto questa ricerca, riproponendosi come strumento “olofrastico” con cui rappresentare un’intera frase/situazione per una persona che non comunica verbalmente. E’ una persona che conosce il “potere della comunicazione”, che sta affinando la sua capacità di farsi capire, forte di una crescente comprensione del linguaggio verbale in situazione (quindi capace di interpretare – in determinate condizioni – anche i messaggi provenienti dal contesto), soprattutto se coinvolto attivamente.
Il che significa che sono partita da un bisogno educativo speciale per poi generalizzare i mediatori comunicativo-didattici individuati “per tutti”, ritornando a reinterpretarli in chiave del singolo. E sono nate Le parole della maestra, flashcard finalizzate alla familiarizzazione di Jacopo ai termini e alle frasi che riecheggeranno attorno a lui nella scuola primaria (per saperne di più leggete il post e le slide introduttive)
Per me la didattica accessibile (se preferite inclusiva, fate pure) funziona in questa maniera “circolare”, con un percorso di ricerca-azione che coinvolge professionalità diverse, con il confronto, le prove e gli errori… L’enfasi eccessiva della nuova normativa sui BES, per esempio, sui supporti tecnologici che hanno una risposta a ogni problema è superficiale e pericolosa. Lo strumento non deve mai precedere il progetto e il progetto non deve costringere le persone ad adeguarsi a esso. La ritengo una posizione non contrattabile se vogliamo continuare a parlare seriamente di integrazione[barra]inclusione.
coccinella59
25 Maggio 2013
Grazie per questo post molto interessante (come altri che hai scritto). Mi trovo totalmente in sintonia con la tua conclusione, in particolare quando dici :”L’enfasi eccessiva della nuova normativa sui BES, per esempio, sui supporti tecnologici che hanno una risposta a ogni problema è superficiale e pericolosa. Lo strumento non deve mai precedere il progetto e il progetto non deve costringere le persone ad adeguarsi a esso. La ritengo una posizione non contrattabile se vogliamo continuare a parlare seriamente di integrazione[barra]inclusione.”
Trovo, in particolare, che l’ultima normativa sui BES possa essere il preludio quasi ad una “ghettizzazione” di molti alunni, più che un trampolino verso la loro inclusione, tra l’altro si tratta di una normativa in base alla quale, in certi contesti, metà alunni di una delle nostre classi potrebbero essere individuati come BES. Ho la netta impressione che emanare queste ultime direttive sia stato solo un modo non tanto raffinato di mettere una toppa ai problemi che si erano creati con le normative sui DSA, che discriminavano di fatto alunni con difficoltà anche maggiori di quelle derivate ad esempio dalla dilessia dall’utilizzo formalizzato di strumenti compensativi, in particolare quelli tecnologici, che, comunque, non possono certo sostituire l’intervento sensibile ed elastico di chi si trova a lavorare con questi ragazzi (e non solo con loro). Mi piacerebbe continuare a seguire il tuo lavoro sulla “didattica accessibile” che trovo molto interessante e che ti auguro sinceramente di portare avanti con successo.
Antonella T.
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Claude Almansi
25 Maggio 2013
Molto interessante, Maria Grazia: grazie. Quel che dici delle flashcard per l’insegnamento delle lingue mi ha ricordato una cosa. Quando ho iniziato a insegnare l’inglese tanti anni fa, usavamo una specie di bacheca ricoperta di feltro, sulla quale si potevano appiccicare immagini con una striscetta di velcro dietro, e le parti di quella bacheca corrispondevano a dimensioni temporali. Forse anche una cosa del genere potrebbe servire nella comunicazione che descrivi?
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Maria Grazia
28 Maggio 2013
Il principio che descrivi è più o meno quello. Quando ti occupi di Comunicazione Aumentativa spesso il primo esempio che ti viene fatto è quello del ritrovarsi in terra straniera senza conoscere la lingua (esempio che, a ben pensarci, qualcuno mi ha fatto anche per l’autismo…). La didattica delle lingue straniere, non a caso, utilizza molto le immagini. Quelle che ho adattato per Jacopo sono ovviamente tarate specificatamente sulle sue caratteristiche percettive, comunicative e comportamentali e sono utilizzate in un rapporto 1 a 1, però l’idea di utilizzare una serie diversificata di supporti visivi per la didattica curricolare è fondamentale per garantire una comunicazione che si adatti il più possibile alla diversità del gruppo classe.
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soudaz
28 Maggio 2013
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