Nei post precedenti (qui e qui), ho ritenuto necessario esplicitare il punto di vista professionale e teorico da cui hanno preso spunto le mie osservazioni a margine della tavola rotonda tenutasi a Pisa su libri di testo e risorse digitali per la scuola italiana in Europa, alla presenza del ministro Carrozza.
L’essere dentro o fuori un sistema, guardarlo dall’alto o dal basso, averne sperimentato o solo teorizzato pregi e difetti fa la differenza nell’interpretazione altrui di quello che si afferma. E questo non implica un giudizio di valore a priori o una cieca presunzione sulla bontà indiscussa delle proprie argomentazioni ma, piuttosto, rimarca la necessità di aprire la discussione a una molteplicità di punti di vista, che includano anche…
- Una panoramica dello stato dell’arte dell’utilizzo delle risorse didattiche digitali nelle scuole italiane, al netto dei finanziamenti locali, delle sponsorizzazioni aziendali e di quelle che la c.m. 18/2012 (pag.3) ha definito “eventuali attribuzioni gratuite in qualunque forma, a favore dei docenti o dell’istituzione scolastica”.
Se le sperimentazioni della singola scuola non sono replicabili, è inutile riproporle come “modello per il sistema”. Spiegare chiaramente e puntualmente le condizioni (risorse professionali, strumentali, finanziamenti, aspetti normativi, ecc…) che hanno reso possibile mettere su un certo tipo di infrastruttura materiale e metodologica (?) è il minimo che mi aspetterei da un sistema che si sforza di funzionare come tale e non come un agglomerato di monadi, ognuna con vita propria.
- Una sincera e puntuale retrospettiva della politica ministeriale in tema di libri di testo digitali, nata da una legge Finanziaria e totalmente schiacciata sul modello della secondaria superiore, che ha travolto (più che coinvolto) la scuola primaria nella più totale indifferenza.
Se, da un lato, questa “omogeneizzazione” del sistema scolastico nasce con il solito intento del risparmio (si legga qui e qui per farsi un’idea), dall’altro il blocco dell’adozione dei libri di testo nella scuola primaria, non ha tenuto minimamente conto né della sua organizzazione (con il risultato che ogni cinque anni potevano essere solo certi docenti – sempre gli stessi – e non altri a effettuare le scelte per l’adozione, a chiaro danno della libertà di insegnamento), né del modo in cui viene usato questo mediatore didattico dalle maestre e dai maestri.
A questo aggiungiamo che nessuno ha fatto – né sta proponendo – una seria riflessione sulle specificità dei mediatori didattici da utilizzare in queste fasi dell’età evolutiva, in cui gli stimoli sensoriali, le attività, i codici e i percorsi variano (o dovrebbero variare) in corrispondenza dei diversi stadi di crescita a cui corrispondono diverse modalità di elaborare informazioni, percezioni ed emozioni. Un “libro di testo digitale” per la scuola primaria (posto che si voglia ancora parlarne in questi termini) deve essere multiforme, poliedrico, articolato per esperienze. Il touch serve molto più ai piccoli (didatticamente parlando) che ai grandi, per esempio, e non perché è meglio il tablet del quaderno dato che ci vogliono entrambi. Ma qualcuno si sta ponendo questo ordine di problemi (per tacere di tutti gli altri)? Non mi sembra.
Del resto, nel d.m. 104/2013 il fatidico articolo 6 in cui si ufficializza la possibilità per le scuole di produrre materiale didattico “in proprio”, in orario curricolare, con i propri studenti e la propria disciplina, ha ovviamente come riferimento la scuola secondaria (se qualcuno non se ne fosse accorto, le assegnazioni disciplinari e i modelli organizzativi – nella primaria – variano ormai da scuola a scuola e il materiale che si può produrre con i bambini ha ovviamente una valenza diversa di quello che si può realizzare con i ragazzi più grandi).
- Una visione non parcellizzata e settoriale dell’utilizzo didattico dei diversi dispositivi per i bisogni educativi “di tutti”, come se un tablet (giusto per fare un esempio) da utilizzare come comunicatore (ma anche in caso di DSA) debba essere necessariamente diverso da quello utilizzabile da qualsiasi altro studente.
Si parla di testi digitali – la cui accessibilità per le persone con disabilità è stata sancita in tempi non sospetti dalla legge Stanca e paradossalmente “dribblata” in tutte le maniere possibili e immaginabili – e poi si insegue il mercato con software proprietari, precaricati su dispositivi blindati, riuscendo paradossalmente a sancire lo stigma anche a parità di strumenti. La didattica inclusiva ha bisogno della tecnologia, di tutte le tecnologie possibili, ma ha bisogno ancor di più dell’accessibilità dei contenitori come dei contenuti.
Questi sono, a mio parere, i tre punti focali su cui bisogna riflettere se si vuole tenere insieme un sistema di istruzione che possa ancora definirsi unitario. A patto, ovviamente, che questo sia ancora uno dei nostri obiettivi.
soudaz
24 novembre 2013
A reblogué ceci sur Il Blog di Tino Soudaz 2.0 ( un pochino).
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