L’anno scorso scrivevo:
C’è chi, in casa, una lampadina blu ce l’ha accesa sempre. Non solo oggi, che è 2 aprile, giornata dedicata alla sensibilizzazione e all’informazione circa la condizione delle persone autistiche e, indirettamente, delle loro famiglie…
Sicuramente c’è bisogno di spazi di ascolto e di riconoscimento di una condizione specifica di genitori che è peculiare e può mettere a dura prova: molto di più di ciò che mostriamo e abbiamo il pudore di far vedere…
Quest’anno ho deciso di essere più incisiva sull’argomento e per questo ho proposto un incontro aperto di riflessione e confronto. Se tutto andrà come deve, ci sarà anche lo streaming. Che siate coinvolti o no, mi piacerebbe partecipaste e/o mi aiutaste a diffondere la notizia 🙂
Qui sotto, qualche riga di presentazione dell’intervento.
La famiglia “fatata” ovvero quando arriva il figlio che non ti aspetti
Jim Sinclair, autistico e attivista per i diritti delle persone autistiche, in una lettera aperta dal titolo “Non piangete per noi” afferma:
“I genitori spesso riferiscono come l’apprendere che il loro bambino è autistico sia la cosa più traumatica che gli sia mai successa.
Le persone non autistiche vedono l´autismo come una grande tragedia, e ai genitori questa esperienza genera delusione e dolore in tutte le fasi dello sviluppo del bambino, e del ciclo di vita della famiglia.
Ma questo dolore non deriva dall´autismo del bambino in sè. Si tratta di dolore per la perdita del bambino normale in cui i genitori avevano sperato e che avrebbero dovuto avere.
Gli atteggiamenti e le aspettative dei genitori, e le discrepanze tra ciò che si aspettano i genitori dai bambini a una particolare età e di sviluppo dei propri figli, causa più stress ed angoscia che le difficoltà pratiche della vita con una persona autistica…
Quindi, quando un genitore dice, “Vorrei che mio figlio non avesse l´autismo”, quello che realmente dice è, “vorrei che il bambino autistico che ho non esistesse, e al suo posto avessi un bambino differente (non-autistico)”.
Curiosamente, con questa affermazione, Sinclair dà ragione alla minuziosa analisi del linguaggio dei racconti di Alfred e Francoise Brauner alla ricerca delle tracce della disabilità mentale infantile rinvenibili nelle fiabe e nelle leggende popolari. Il changeling, lo scambio dei bambini in culla ad opera di creature fatate, riecheggia nuovamente come condizione esistenziale di quei genitori che scoprono all’improvviso che il bambino o la bambina che aspettavano, immaginavano, prefiguravano non c’è più.
Un’esperienza comune a tutti i genitori con un figlio con disabilità che, nella condizione dello spettro autistico, assume connotazioni particolari e uniche a causa dell’iniziale “estraneità” reciproca e dello smarrimento angoscioso causato dal venir meno di tutto ciò che fino a quel momento sapevamo sull’essere genitori.
Le reazioni sono diverse. C’è chi, in cuor suo, continua a cercare il figlio perduto, chi fa suo quello “sostituito”, chi tenta di farlo assomigliare il più possibile a ciò che sarebbe dovuto essere. Non esiste il giusto o lo sbagliato. Esistono le storie, le voci, le esistenze di madri e padri che cercano la propria via attraverso quella dei loro figli.
A queste voci e a queste esistenze è dedicato il seminario, che sarà corredato di letture e filmati documentali.
Immagine: Arthur Rackham – 1908
Maria Grazia proietti
30 marzo 2014
Ciao sono Maria Grazia ho un figlio Matteo, sindrome di Asperger, quindi accolgo volentieri l invito ad esprimere un giudizio sulle nostre vite. Mi sembra che l’articolo pubblicato mette in rilievo un elemento essenziale, questo figlio con la sua disabilità ,non è il figlio sano che si aspetta. Voglio chiarire subito. La difficoltà ad accettare una disabilità nel mio caso è stata accentuata da chi ha fatto la diagnosi: il neuropsichiatra ci tolse ,fin dall inizi ogni speranza, ancora oggi ricordo l assoluta a affettività con cui vi comunico tutto e niente,perché la diagnosi venne tantissimi anni dopo. Ma io dico fin dall inizio mi ricordai il significato del nome Matteo, dono di Dio, Matteo e sempre stato accetta tanto amatissimo e mai, dico mai neppure nei momenti di aggressività ,silenzio e violenza, ho mai ritenuto doverlo cane borse, modificarlo , era lui, immagine di Dio anche in lui, dono per tutti noi. Con questa consapevolezza che anche lui avrebbe avuto una vita bella anche se più difficile degli altri, mare questo in appassionante, più bella perché mai scontata e conquistata giorno dopo giorno. Oggi Matteo ha 24,anni, di cammino, di vita piena, tanto piena felice e con un suo pensiero, “diverso” pensiero ma come tutte le creature di questo mondo, da accettare, da conquistare, ma sempre da amare e mai volete essere diversi da quello che si è . Abbiamo anche scritto un libro Mamma ti posso parlare? Abbiamo voluto dare una
vita di speranza vera,concreta e possibile.
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Maria Grazia proietti
30 marzo 2014
Scusate ci sono errori sul mio commento… [corretto 😉 Maria Grazia]
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Maria Grazia
30 marzo 2014
Grazie per il tuo contributo, Maria Grazia. The Rat Race, a proposito della metafora con cui ho titolato l”iniziativa, osserva
Ovviamente non è mia intenzione incoraggiare questa visione quanto evidenziare l’invisibile filo tra la lettera di un attivista autistico come Sinclair riprenda proprio una delle visioni metaforiche con cui il sapere popolare ci ha tramandato l’esperienza di altri genitori che, prima di noi, a un certo punto si sono accorti della “diversità” del proprio figlio rispetto agli altri.
Ne vorrei parlare perché la sfera psicologica dei genitori di persone autistiche è quasi un tabù e la negazione è molto più diffusa di quanto possa sembrare. Rimbalzano, nella cronaca e sul web, titoloni sulla lotta contro il mostro, contro l’autismo mentre è la lotta contro un sistema che ci sfinisce e ci ignora che andrebbe esplicitata. Ci sono genitori che non vogliono vedere i propri figli insieme ad altri ragazzi autistici, chi sostiene una diagnosi sbagliata e impedisce anche l’utilizzo delle immagini nel timore che impediscano la comparsa della parola e molto altro. Certe volte bisogna anche dare l’occasione alla persone di riflettere sulla propria maniera di affrontare la vita. Il mio intento è questo. Attendiamo i risultati.
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