Sullo sciopero della cura

Posted on 8 marzo 2017

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Non si può ignorare che questo 8 marzo abbia un’eco internazionale diversa dalle solite e, forse, meriterebbe almeno qualche minuto di riflessione in un mondo in cui i tagli allo stato sociale, la disoccupazione, la retrocessione dei diritti sono destinati ad abbattersi sempre più – ancora una volta – sulle spalle delle donne.

Perché il vero ammortizzatore sociale che garantisce in qualche misura la tenuta del sistema siamo noi, che accettiamo compromesso su compromesso troppo spesso con malcelata rassegnazione e ci barcameniamo tra il nostro progetto di vita (per chi ancora ce l’ha e/o l’ha mai avuto) e quello delle persone a noi legate.

E così si comincia a sottrarre sempre qualche minuto in più, giorno dopo giorno, emergenza dopo emergenza, a quel piccolo gruzzoletto di tempo che si è nascosto per sé, fino al giorno in cui ci si accorge che non ce n’è più e che il tuo spazio vitale si è disperso in quello altrui.

In particolare, nell’assistenza ad anziani, disabili, ammalati cronici e soggetti fragili che richiedono una presenza continuativa, il nostro servizio sanitario può contare sulla forza di oltre 3 milioni e 300 mila persone. Sono i caregiver familiari, uomini ma soprattutto donne (63,4%) che senza alcuna retribuzione fanno dell’assistenza a padri e madri (49,6%) o al proprio coniuge-partner (34,1%) la propria professione. Occupandosi di loro, in media, per circa 18 ore al giorno (7 di cura diretta e 11 di sorveglianza). In un anno i caregiver italiani prestano assistenza per oltre 7 miliardi di ore, che si traducono in un risparmio effettivo per il Ssn, in aggiunta agli oltre 10 miliardi che le famiglie pagano annualmente per lavoro privato di cura e le cosiddette spese ‘out of pocket’ (spese sanitarie, farmaci, ausili/attrezzatura e così via) che hanno superato i 33 miliardi annui. (adkronos)

Questo vale soprattutto per noi donne caregiver, che ci alziamo nel cuore della notte e siamo alle 8.00 al lavoro come se nulla fosse; che prendiamo permessi (che poi magari recuperiamo) perché ci convocano in orario di ufficio per GLH, pratiche assistenziali, prenotazioni e via dicendo; che ci sostituiamo al personale specializzato perché personale specializzato non ce n’è; che veniamo guardate sul lavoro come appestate in quanto pericolose detentrici di famigerata “104”, fino a quando dimostri con i fatti che la usi il meno possibile, calpestando i tuoi diritti. E sto parlando delle fortunate che non sono segregate in casa…

Le donne, dunque, si asterranno quel giorno dal lavoro e anche dalla cura, cioè dal lavoro in casa e per i figli, per ribadire il rifiuto della violenza di genere. (ANSA)

Non apro qui il discorso sulla validità di questa proposta né sulla libertà di ogni donna una di noi di aderirvi o meno. Sicuramente noi non possiamo farlo, anche volendo.

Tutto qui. Volevo ricordarlo, niente togliendo all’importanza di questa mobilitazione. Dobbiamo unirci per resistere. Buona lotta a tutte. Oggi, domani e sempre. Non mollate. Non molliamo. 🙂

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