Usare un LMS porta a disegnare un corso on-line che replica lezioni, discussioni, quiz ed altro che si trova in un’aula tradizionale. L’uso di un LMS limita il pensiero dei progettisti e degli sviluppatori degli ambienti di apprendimento alla riproposizione di attività accademiche tradizionali.
Sì, sono d’accordo con Gianni Marconato e aggiungerei anche qualche nota prettamente relazionale…
Lunedì sono intervenuta a lezione per spiegare agli studenti i motivi per cui l’esame di Letteratura Latina è stato articolato secondo una formula blended, attraverso l’utilizzo dei blog per integrare e sostenere le attività in presenza.
Per farlo sono partita dall’osservazione dell’aula in cui ci trovavamo: c’era una cattedra su una pedana e c’erano dei banchi che, pur non essendo “inchiodati” al pavimento (come in altre aule) difficilmente avrebbero permesso una disposizione degli studenti che non fosse “frontale”.
Il tipo di comunicazione didattica “suggerita” dal contesto era ben chiara: io parlo, voi ascoltate.
L’asimmetria della relazione formativa, il “surplus di conoscenza” che distingue il formatore dai formandi, il “potere” che l’accompagna, sono tutti elementi rimarcati dalla posizione fisica dei componenti del gruppo.
A pensarci bene (non l’ho detto ma l’aggiungo adesso), spesso la stessa scelta dello studente di mettersi al primo banco, ad esempio, è una dichiarazione inconsapevole di intenti 🙂
Per aprire la comunicazione didattica alla relazione formativa, al pensiero dell’altro in un contesto in cui (anche quando ci dovessero essere spazi adeguati) il numero degli studenti e il tempo a disposizione rendono complicata una relazione più umana, occorre trovare altre strade, altri spazi, altri tempi.
E’ questo che vorremmo fare io e la docente con questi blog.
Ma la scommessa non è facile. L’insegnamento tradizionale, frontale, trasmissivo (che spesso proprio in ambito universitario rivela le sue teche più preziose) ha un potere non indifferente.
La passività a cui induce, pur frustrante dal punto di vista dell’identità personale, presenta i suoi vantaggi, anche per lo studente: perché sforzarsi di nuotare se c’è qualcuno che ti traina verso la meta prestabilita?
E questa è la “sirena” più pericolosa perché induce ad una passività intellettiva, uccide la curiosità, ci forma come cittadini indifferenti/rassegnati al mondo costruito da altri.
Ma un altro mondo deve sempre essere possibile. Un’altra formazione deve essere sempre possibile.
Gareth Morgan ci ricorda che bisogna accettare il paradosso secondo cui la realtà è contemporaneamente soggettiva e oggettiva in quanto ci impegniamo in realtà oggettive in maniera soggettiva, mai dimentichi però che organizziamo nello stesso modo in cui immaginiamo ed è sempre possibile immaginare in modo diverso.
Davide
19 marzo 2008
Interessante la considerazione sulla geometria dell’ambiente di studio; io all’educazione on-line spero di arrivarci l’anno prossimo, quindi per ora mi preoccupo di aule e proiettori…. 😛
Mi permeto di consigliare “Designing Workshops”, di Phil race, disponibile gratuitamente nell’area di dfownload del suo sito (www.Phil-Race.com), che include fra le (molte) altre cose alcune interessanti considerazioni su come scegliere e gestire lo spazio nel quale si terranno lezioni o laboratori.
La formula cattedra + banchi non è (grazie al cielo) l’unica possibile.
Anche il resto del materiale nell’area download è notevole (ma io sono un fan dichiarato di Race, quindi il mio è un giudizio parziale).
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Maria Grazia
19 marzo 2008
Appena sbrigo tre o quattromila cose in sospeso 😉 mi dedicherò a spulciare accuratamente i materiali da te segnalati (per ora il link finisce immediatamente sul mio Delicious).
Sul fatto che la formula cattedra+banchi non sia l’unica possibile siamo ovviamente più che d’accordo. Il problema che spesso è l’unica disponibile. E così ci spostiamo in rete 🙂
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Davide
19 marzo 2008
Per lo spostamento in rete, ho qui Ko & Rossen “Teaching Online” (Houghton Mifflin) che aspetta di essere letto e digerito.
Ciò che mi preoccupa (non tanto da togliermi il sonno, certo, ma un po’) è che esiste una componente teatrale nell’insegnamento tradizionale che on-line va perduta.
A questo si aggiunge la tendenza, on-line, ad assumere automaticamente che chi abbiamo di fronte sia un nostro pari – che può avere conseguenze catastrofiche (come ho imparato sulla mia pelle di recente).
Chiaro, gli studenti di un corso non sono gli utenti occasionali di un blog, ma esistono problemi che credo sarà complicato affrontare.
Io, onestamente, più che uno spostamento in rete, da anni pianifico uno spostamento all’aperto – fuori dalle aule, magari in un bel parco, o su un bel terrazzo assolato…
Probabilmente una reazione al fatto che metà delle mie lezioni si tengono in aula computer 😛
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Maria Grazia
19 marzo 2008
La mia visione dell’e-learning è sempre blended, soprattutto per ciò che concerne percorsi di formazione che riguardano il sistema formale (scuole, università, ecc.).
Una versione pura, solo online, la vedo legata più all’apprendimento informale dell’adulto (noi due e tutte le persone con cui siamo connessi senza una conoscenza “corporea”, impariamo reciprocamente, o no?) o, extrema ratio, in situazioni in cui le distanze (o particolari condizioni ambientali) sono tali da mettere a repentaglio la formazione stessa.
Non è un caso che l’Africa sia già alla terza edizione della Conferenza Internazionale sul tema…
No. Alla “teatralità” della formazione in presenza non rinuncerei mai. Le ITC le vedo soprattutto come una modifica della spazialità e della temporalità formativa; una modalità per avvicinarsi all’altro (paradossalmente), per delineare nuove forme di dialogo e di apprendimento vicine agli stili cognitivi dei nostri interlocutori.
Come ripeto spesso, “mai fare con il power point, ciò che puoi fare con gesso e lavagna!”.
Per quanto riguarda le problematiche del “pari-a-pari”, sono le stesse della presenza. Secondo te, uno studente che mangia durante la lezione, chiacchiera, entra o esce, mostra maggiore considerazione per il docente?
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Davide
19 marzo 2008
Io ho seguito un corso interamente online – e ne sono rimasto estremamente deluso.
Non per il modo in cui il corso era progettato, ma per l’atteggiamento degli altri partecipanti.
Ciascuno troppo interessato al proprio piccolo progetto di apprendimento personale, e quasi completamente incapace di coordinarsi con gli altri, collaborare, discutere.
Per questo voglio pensarci bene, a ciò che farò io… mi domando quanto controllo possa avere il docente/coordinatore su simili limiti dei partecipanti.
Qanto invece alle cicatrici da lezione frontale – ho avuto una studentessa che ha passato due dei tre giorni di corso chattando on-line ed farcendo commenti ironici a mezza voce durante le mie spiegazioni.
Se sono sopravvissuto a quello… 🙂
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Maria Grazia
19 marzo 2008
Beh, secondo me nella tua esperienza interamente online c’è stata qualche pecca di progettazione… Che sia chiaro: il cuoco può essere il migliore del mondo ma se gli ingredienti non sono buoni è difficile che esca qualcosa di decente. Però, come nella formazione in presenza, troppo spesso si pensa che la progettazione del corso, lo studio delle caratteristiche dei partecipanti, le valutazioni in itinere (ecc. ecc.) siano scartoffie dovute e non strumenti di lavoro. E quindi, per fare un corso online, basta la conoscenza tecnica, qualche effetto speciale e… voilà: non è cambiato niente. 😀
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Davide
19 marzo 2008
Nel mio caso, lo studio delle caratteristiche dei partecipanti (provenienza accademica, specializzazioni, eccetera) fu probabilmente il dettaglio cruciale che venne trascurato.
Ripeto – un’esperienza costosa (quasi 500 euro) e negativa.
Ma un solido caveat per le mie attività future – fare di tutto per evitare di fare simili buchi nell’acqua…
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