Io, di mestiere, faccio la maestra. Il mio lavoro consiste nel vivere esperienze di apprendimento significative con i miei bambini, accompagnando al tempo stesso i loro genitori alla scoperta dell’individualità dei propri figli.
Se dovessi utilizzare il metro della relazione educativa, allora la mia “posizione istituzionale” di docente si rivela una posizione di potere rispetto al discente, grazie a quella asimmetria strutturale del processo di insegnamento/apprendimento scolastico che passa attraverso il dato dell’autorità [Iori], affondando le sue radici nella disparità di esperienze vitali e di conoscenze che c’è tra me e i miei alunni. Ciò mi permette di decidere i contenuti e le esperienze di apprendimento che sostanziano il mio e il loro lavoro.
Se però facessi mie una di quelle metafore organizzative tanto care a Morgan e considerassi la mia posizione all’interno dell’istituzione-scuola come sistema culturale e politico, non potrei ignorare (tanto per ciò che riguarda la strutturazione del corpo docente quanto per ciò che concerne le possibilità di partecipazione ai processi decisionali relativi alle più generali politiche formative) la persistenza di un modello di tipo gerarchico, all’interno del quale vengo collocata, in quanto maestra, tra i gradini più bassi della piramide.
Il senso relazionale dell’insegnamento si stempera sempre più man mano che si sale nei diversi ordini di scuola, sempre più su fino ai gradi accademici e istituzionali più alti, dove chi insegna pedagogia i ragazzi non ha bisogno di guardarli. Li sa tutti a mente come noi si sa le tabelline [Scuola di Barbiana]; dove si gioca il valore supremo del sapere ma si guarda ai processi formativi solo attraverso le lenti di fantomatici modelli di progettazione degli stessi; dove si elaborano sigle ed acronimi di cui spesso sfugge il senso pedagogico, costringendo i docenti a camuffare il loro fare-scuola quotidiano per fare “come se…”, ad imbellettare il proprio lavoro come da normativa per accontentare dirigenti, ispettori, genitori…
La piramide
Posted on 28 marzo 2009
asterione88
29 marzo 2009
Per me fare la maestra è difficilissimo, molto più difficile che fare il professore universitario! La maestra è il primo insegnante che un bambino si trova davanti: a seconda del tipo di rapporto che si instaura tra le due figure, anche il futuro rapporto del bambino con la scuola ne sarà condizionato!
Per cui, forse ad un livello politico-istituzionale, la maestra è a uno dei livelli più bassi, ma ad un livello pedagogico è ad uno dei primi posti – come mi pare che sottolinei (se non ho frainteso) nell’ultimo paragrafo: “Il senso relazionale dell’insegnamento si stempera sempre più man mano che si sale nei diversi ordini di scuola…” etc. etc.
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Maria Grazia
29 marzo 2009
“Il senso relazionale dell’insegnamento si stempera sempre più man mano che si sale nei diversi ordini di scuola…”:
la maestra conosce ogni bambino per nome e sa perché fa una certa cosa in un certo modo;
alle medie si apre l’era del “non siamo più alle elementari e non chiamarmi maestra”;
al superiore i genitori vanno al colloquio coi prof con le foto dei loro figli che possono prendere magari 2 in italiano e 9 in matematica, senza che nessuno trovi strana la cosa;
all’università chi discetta e teorizza su “bambini tipo” spesso non ha esperienza della realtà di cui sta parlando. Ma anche questo non è un problema.
A me non sembra normale. Essenzialmente volevo dire questo :-).
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Mariella
29 marzo 2009
“…costringendo i docenti a camuffare il loro fare-scuola quotidiano per fare “come se…” potremmo anche dire che spesso , a scuola, si gioca a “far finta di…”. Gli insegnanti “fanno finta che tutti abbiano compreso e gli alunni fanno finta di aver capito, le variabili vengono trascurate perchè richiedono ulteriori impegni! La relazione (il rapporto positivo) poi, curata un po’ di più alle elementari (adesso “primarie”, domani…?) vien scemando man mano che si salgono i gradini della scala delle”posizioni autorevoli” , dalle quali si guarda ” dall’alto verso il basso”a noi docenti della primaria. Una mia collega spiritosa , riferendosi a noi insegnanti, affermava, in dialetto siciliano ” nuavtri semu ‘cchiddi ‘ri scoli vasci!” (Noi siamo quelli delle scuole basse!)
Però! Non è dal basso che si costruisce una casa? Non sono più importanti le “fondamenta?
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Maria Grazia
29 marzo 2009
Io ovviamente sono di parte 🙂 Ma come lavorano la maggior parte delle maestre, non ha paragoni 😀
Nel futuro, non so. Da quando sono entrata nella scuola, le condizioni di lavoro sono peggiorate costantemente. I dirigenti sono ossessionati dalle mostre e dalle vetrine. Bisogna far vedere a tutti i costi. Si inseguono disperatamente i progetti nel tentativo di ottenere altri fondi e non è facile (anche se c’è chi lo fa) rifiutare perché non puoi rimpinzare la testa dei bambini come fossero tacchini. Vedremo…
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asterione88
29 marzo 2009
Sì, forse mi sono spiegato male, ma avevo capito;
volevo dire che proprio il rapporto molto stretto che si instaura tra maestra e bambino (e che si va indebolendo più si sale nella piramide) rende critico il ruolo della prima, e sempre meno importante quello degli insegnanti successivi nella formazione dello studente!
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