Ripartire dalle pratiche educative

Posted on 19 dicembre 2011

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Il mio precedente post su Pratiche educative e resistenza al cambiamento è stato onorato con un interessantissimo corollario di commenti che vi consiglio di leggere per intero e di cui ringrazio avventori vecchi e nuovi del blog 🙂

Sono contenta che la sintesi delle mie riflessioni circa la disarmonia tra il dispositivo pedagogico forte dell’istituzione e quello debole della realtà sociale in cui i nostri figli e studenti crescono, vi abbia trovato concorde. In questo periodo mi sono ritrovata spesso a riflettere sulle pratiche educative in quanto tali, sollecitata anche dalla mia partecipazione al seminario di formazione sull’ICF, il mese scorso, a proposito del quale scrivevo

Ciò che io credo sia prioritario per tutti, oggi, è fare i conti con lo stato dell’arte nella ricerca e nella pratica didattica, a valle di quei processi di riforma “senza visione” che hanno profondamente modificato – in particolare nella scuola di base – i modelli di interazione dei e tra docenti, cancellando spazi, tempi e opportunità per l’individualizzazione dei percorsi e il lavoro su gruppi paralleli.
E qui non sto parlando solo dell’aspetto organizzativo (che pure è fondamentale) ma anche dell’aspetto culturale del valore del gruppo docente che la più recente generazione di maestre – ad esempio – ignora totalmente.

Ho raccolto, come è mio stile, frasi affioranti dai commenti di cui sopra che, a mio parere, avvalorano questa mia posizione…

Scrive Claude:

Anche se almeno dai primi anni 90, le direttive ufficiali parlano di insegnamento incentrato sull’apprendimento dell’allievo e sui progetti collaborativi – cose per le quali le ICT potrebbero essere utilissime, specie quelle Web 2.0  in pratica queste direttive sono difficili da implementare: numero di allievi per classe, programma da coprire – o aspettative non aggiornate dei colleghi delle scuole di gradi superiori rispetto a questo programma…

Conferma Antonello, denunciando

la sconfortante inutilità di qualsiasi tentativo di sensibilizzazione rivolta ai docenti e la grandiosa risposta che si riesce ad ottenere non appena si offre agli alunni la propria disponibilità ad interagire con loro attraverso linguaggi alternativi alla dialettica io dico, tu ripeti.

Prima chiosa: non vi sembra che il problema sia quello di chiedersi se, prima dell’avvento delle tecnologie, questi colleghi abbiano mai impostato qualcosa di cooperativo con i loro studenti? E, se non l’hanno mai fatto, non sarà il caso di cominciarglielo a far fare “in presenza” e poi “a distanza”? E, se volessimo essere ancora più radicali, non sarebbe il caso (prima ancora del punto precedente) far loro provare l’ebbrezza di apprendere qualcosa in maniera cooperativa? In sintesi: come si può chiedere ad un docente di insegnare attraverso una tecnica che non sa come funziona perché non l’ha mai provata?

Profmau “confessa” che

Sostanzialmente, al di là dei molti corsi, sono un autodidatta (cosciente dei con i lati positivi e negativi che questo comporta…)

Non vedo come potrebbe essere altrimenti, caro profmau, dato che il docente curioso è autodidatta per forza di cose… Non si può certo fare un corso ogni volta che vuoi fare una cosa nuova 😀

Lui e Maurizia, introducono poi un altro fondamentale elemento da considerare nella visione complessiva della vicenda e cioè i genitori:

Siccome noi docenti siamo convinti che per educare i nostri giovani dobbiamo conoscere e parlare anche con i nuovi linguaggi, come non pensare che debbano conoscerli anche i genitori…

Sono d’accordo con profmau nel considerare i genitori nostri alleati e non la controparte; come dico sempre ai nuovi colleghi , occorre coinvolgerli, fa capere il senso di ciò che proponiamo ai loro figli per far nascere in loro la fiducia.

E’ molto interessante questo aspetto. Secondo la mia esperienza, di genitore e di docente, il coinvolgimento familiare scema man mano che i ragazzi diventano più grandi venendo meno proprio nel momento della loro vita in cui l’alleanza educativa scuola-famiglia sarebbe fondamentale. E invece, sembra che il nostro modello relazionale sia sempre più orientato verso il servizio a domanda individuale…

Luigi chiude momentaneamente la discussione sottolineando che

diventa evidente [la necessità di] acquisire competenze in questo ambito: competenze tecnologiche per sapere e conoscere le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie; competenze didattiche per addomesticarle al processo formativo; competenze relazionali e competenze metacognitive di riflessione costante sul proprio operare, per accompagnare, progettare, rimodellare e percorrere un processo…

Mi pare che sia evidente, insomma, che dovremmo ricominciare dalle competenze basilari della professione docente prima che guardare alla tecnologia. O no?

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