BES: si riparte dal via

Posted on 25 novembre 2013

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Se l’ennesimo chiarimento (a lungo ritardato) sui BES fosse uscito prima, forse il dialogo in merito sarebbe stato più sereno e costruttivo. O meglio, forse ci sarebbe potuto essere un dialogo che ormai tra i vertici (centrali e periferici) e la base “operativa” (i docenti) si è interrotto da tempo, sostituito da un’imposizione di adempimenti burocratici a cui fare fronte non solo “senza se e senza ma” ma – soprattutto – senza un orizzonte di senso condiviso.

Approfitto allora dell’occasione per condividere con voi un contributo che avevo scritto con finalità formativo-informative per un progetto morto sul nascere e che, a questo punto, mi dispiace lasciare nel cassetto. Prima ancora di elencare documenti e note ministeriali, avevo pensato fosse giusto soffermarsi in primo luogo sul punto di vista pedagogico che, per dei docenti, dovrebbe essere l’aspetto principale e non residuale della questione. Dunque, questo sarebbe stato il mio incipit…

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Le politiche scolastiche degli ultimi decenni ci hanno portato a dover padroneggiare una mole di acronimi sempre più ampia, il cui potere “definitorio” non deve far dimenticare i rischi celati in un utilizzo non pienamente consapevole delle sigle che, come docenti, veniamo chiamati a utilizzare.

Ritengo dunque fondamentale fare chiarezza sul significato di Bisogni Educativi Speciali (BES), sia nel significato originario sia in quello che le normative ministeriali hanno introdotto in Italia a partire dalla Direttiva Ministeriale del 27/12/2012, tracciando i confini di una vasta area dello svantaggio scolastico che ricomprende:

  • alunni con disabilità (e dunque certificati ai sensi della L.104/92);
  • alunni con disturbi evolutivi specifici (disturbi nell’area del linguaggio, disturbi nell’area non verbale, disturbo dello spettro autistico lieve, disturbo dell’attenzione e dell’iperattività, disturbi dell’ansia e dell’umore, funzionamento cognitivo limite o borderline oltre che quelli certificati ai sensi della L.170/2010);
  • alunni con svantaggio socio-economico, linguistico, culturale.

Silvia Tabarelli e Francesco Pisanu (2013) hanno analizzato questa evoluzione [pp.9-11] nel contesto italiano in una pubblicazione della Loescher (liberamente scaricabile in formato pdf), che qui riporto nei suoi tratti essenziali…

Storicamente la nozione di Bisogni Educativi Speciali (BES o in inglese SEN, Special Educational Needs) compare per la prima volta in Inghilterra nel rapporto Warnock nel 1978. In questo documento si suggerisce la necessità di integrare , nelle scuole della Gran Bretagna, gli alunni tradizionalmente “diversi”, attraverso l’adozione di un approccio inclusivo basato sull’individuazione di obiettivi educativi comuni a tutti gli alunni, indipendentemente dalle loro abilità o disabilità. Successivamente, con lo Special Educational Needs and Disability Act del 2001, viene affermata la necessità di prevenire ogni forma di discriminazione riguardo all’ammissione a scuola degli alunni con bisogni educativi speciali, di promuovere la loro piena partecipazione alla vita scolastica, di coinvolgere le famiglie (“purché non sia in conflitto con un utilizzo efficiente delle risorse).
Inizialmente, tuttavia, il termine SEN, sia nel contesto inglese sia nelle rilevazioni internazionali, è stato utilizzato avendo come riferimento l’approccio bio-medico alla salute e alla malattia.Questo approccio utilizza il concetto di “normalità” come elemento di comparazione per definire una condizione “non normale”, ascrivibile all’individuo e riconducibile essenzialmente a fattori biologici e individuali…

Il concetto di BES su cui si basa la normativa ministeriale estende la condizione di BES ben oltre gli alunni inclusi nelle categorie di disabilità, includendo

tutti gli alunni che vanno male a scuola per una varietà di ragioni che sono note nel loro impedire un progresso ottimale,

rifacendosi così alla definizione data da Dario Ianes nel 2005, per il quale il bisogno educativo diventa speciale tutte le volte in cui le condizioni fisiche (dotazione biologica/crescita del corpo), i fattori personali (autostima, identità, motivazione…) e/o ambientali (relazioni, esperienze, elementi culturali) ostacolano un adeguato funzionamento educativo e apprenditivo dell’individuo.

Una cornice concettuale efficace per supportare la descrizione e la comprensione dell’intreccio tra questi fattori è data dal modello ICF messo a punto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001 che riformula i concetti di funzionamento umano, salute e disabilità a partire dall’idea di salute intesa non come assenza di malattia ma come benessere bio-psico-sociale. Piuttosto che attraverso le categorie dei manuali diagnostici (ad esempio l’ICD-10), la comprensione del funzionamento globale della persona viene posta in termini di salute (nelle tre dimensioni biologico, individuale e sociale) e non di malattia (mancanza, distanza dalla norma)…
Ne consegue che ogni individuo, date le proprie condizioni di salute, può trovarsi in un ambiente con caratteristiche che possono limitare o restringere le proprie capacità funzionali e di partecipazione sociale.”

Quindi il concetto di BES viene presentato come categoria “pedagogica-politica” e non come diagnosi clinica (Ianes, 2013), interpretazione che si può approfondire  in questo video.

Posizioni più critiche rispetto a questa applicazione/estensione del concetto di BES sono reperibili sul sito della SIPES (Società Italiana di Pedagogia Speciale), di cui si segnalano in particolare gli interventi di:

parlare di Bes comporta l’introduzione di una nuova categoria che va ad aggiungersi ad altre categorie (DSA, disabili, DHD ecc); di fatto significa generare una distinzione e quindi una separazione artificiosa tra individui;

  • Alain Goussot [pdf] mette invece in guardia contro un’invasione del campo clinico in quello educativo e pone il problema del collegamento tra deficit, disabilità e differenze culturali;
  • Roberta Caldin [pdf], che nella premessa all’intervento stilato insieme a Patrizia Sandri e al Gruppo Congiunto supervisori/tutor del Corso di Laurea di Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Bologna, riprende il documento di Dario Ianes per porre alcuni interrogativi su cui invita a discutere

– Parlare ancora di BES, senza tenere in nessun conto le indicazioni dell’Unesco che invitano a superare tale costrutto, non è anacronistico o, per lo meno, curioso?
– Rilevare sempre il bisogno individuale, piuttosto che l’impegno del contesto ad essere facilitante, non vanifica l’intera filosofia dell’ICF, ICF-CY, Convenzione sui diritti delle persone disabili?
– Continuare a focalizzarsi sui bisogni speciali piuttosto che su quelli ordinari e sui diritti (comuni, di uguaglianza e di cittadinanza), non rischia di inficiare l’approccio emancipativo e partecipativo alle/delle persone disabili e il loro stesso protagonismo?