[Continuazione dei post dedicati a L’educazione tra rivoluzione ed evoluzione]
Il mio interessamento per la didattica della matematica (unico ambito disciplinare di cui non mi sia ancora occupata a scuola) nasce da un problema che molti genitori incontrano nell’aiutare i propri figli a fare i compiti: l’apprendimento delle tabelline.
Alla ricerca di una metodologia che mi aiutasse a rendere più “dolce” uno dei compiti meno amati dai più piccoli, mi sono imbattuta in primo luogo nel metodo proposto da Camillo Bortolato [pdf] che – a differenza di altre sue proposte didattiche di cui parlerò in un altro momento – non ho trovato particolarmente “risolutiva” del problema.
Indubbiamente interessanti le osservazioni sull’uso dei colori, sull’attivazione emotiva e – più ancora – sulla memoria visiva e sulla ricerca di simmetrie ma, comunque, l’agevolazione che se ne ricava è relativa.
La scoperta della tabellina cinese (vista per la prima volta nel sito di Gianfranco Bo) è invece stata realmente determinante perché:
- è basata su un indubitabile “risparmio di memoria” attraverso l’eliminazione di tutte le ridondanze che caratterizzano la nostra tavola pitagorica, alleggerendola proprio nelle tabelline considerate spesso più ostiche;
- permette di sfruttare la naturale propensione dei bambini all’utilizzo della proprietà commutativa;
- permette di introdurre e sfruttare proficuamente il concetto di elemento neutro e di elemento assorbente.
Per introdurre l’utilizzo di questa tabellina triangolare, ho dovuto inventare una piccola storia introduttiva ambientata nel mondo della moltiplicazione, in cui un mago tondo e nero di nome zero (originale eh? 😀 ) faceva scomparire tutti i numeri che incontrava mentre il mago uno, bianco e magro, aveva pietà di loro e se li incontrava li lasciava andare lasciandoli uguali a prima.
Al di là del fatto che poi ognuno si inventa la storia che vuole, ciò permette di eliminare tutti i qualchecosaperzero o peruno che fanno parte a pieno titolo dei cosiddetti fatti numerici (vedi diapo 10), cioè quei calcoli automatizzati a cui “non pensiamo più” (come appunto le tabelline), perché preferiamo – almeno nei primi anni della nostra scolarizzazione – occupare inutilmente spazio della nostra memoria per incasellare 0X0, 0X1…. e poi 1X0, 1X1 e così via, piuttosto che imparare un semplice nX0 e nX1 (senza “tirare in mezzo” le tabelline). E questo mi pare stupido.
Fatto ciò si passa alla tabellina del 2, che in realtà è quella con il maggior numero di operazioni da memorizzare perché ognuna parte dalla moltiplicazione del numero per se stesso in quanto, grazie alla proprietà commutativa, quando passiamo alla tabellina successiva, sappiamo già i risultati precedenti a nXn. Il che significa che della tabellina del 9, alla fine, dovrai imparare solo il 9X9…
A questo proposito, mi sembra importante sottolineare che
diversamente da quanto accade nel caso del conteggio, sembra che i bambini acquisiscano la proprietà commutativa addirittura prima di apprendere le procedure “min” [che, spesso scoperte senza che siano state insegnate da altri, portano a fare le addizioni ad una cifra cominciando dall’addendo più grande anche se non è scritto per primo]. [Biancardi et al., p.29]
Cosa ci suggerisce ciò? Che in questa maniera andiamo a “poggiare l’apprendimento” su di una operazione cognitiva che il/la bambino/a tende ad utilizzare spontaneamente (e che, comunque, è di facile acquisizione) senza anteporre una concettualizzazione che risulterebbe artificiosa.
Perché quindi ho parlato di tabelline in un post che si collocava nel solco di una riflessione relativa all’evoluzione/rivoluzione educativa?
In primo luogo perché mia figlia le tabelline le ha imparate ma la collega ha preteso che le esponesse comunque secondo lo schema della tavola pitagorica, ignorando probabilmente che lo scopo ultimo di questa memorizzazione è la velocizzazione del calcolo e non la recitazione aritmetica. E qui, probabilmente, il sistema rivela tutta la sua rigidità poco lungimirante che difficilmente fa credere nell’evoluzione quanto piuttosto sperare (ancor più difficilmente) in una rivoluzione.
In secondo luogo perché evidenzia la necessità (veramente non solo in ambito matematico ma dato che stiamo parlando di questo…) di un’analisi qualitativa dell’errore e/o della difficoltà (per chi è interessato alla discalculia consiglio la lettura di questo documento PDF), in quanto i problemi in questo campo possono riguardare
la strutturazione cognitiva delle componenti di cognizione numerica (cioè intelligenza numerica basale: subitizing, meccanismi di quantificazione, comparazione seriazione, strategie di calcolo a mente) [o] le procedure esecutive (lettura, scrittura e messa in colonna dei numeri) e il calcolo (recupero dei fatti numerici e algoritmi del calcolo scritto) [Biancardi et al., p.15]
Da cui ne deriva la necessità che il docente abbia competenza e consapevolezza metodologica, che non può derivare esclusivamente dalla competenza disciplinare ma anche dalla conoscenza dello stadio evolutivo delle acquisizioni che spontaneamente l’essere umano mette in atto.
E ciò vale per la didattica “speciale” quanto per quella “normale”, dato che mi pare ci sia bisogno di avviare una nuova stagione di riflessione pedagogica finalizzata ad una revisione del nostro fare-scuola-quotidiano, possibilmente smettendola di occuparci di semplice ingegneria istituzionale finalizzata a fare cassa e nella speranza di avere ancora una scuola pubblica in cui farlo.
Dulcis in fundo, auspicare un confronto metodologico con altre realtà culturali (come proposto nel PDF segnalato da Andreas) potrebbe veramente aprire la mente a soluzioni nuove, non pappagallescamente importate ma adeguatamente rielaborate, scoprendo le risorse del melting pot culturale.
E’ ovvio che sperare in una evoluzione/rivoluzione in tal senso considerando le mani in cui siamo caduti, irrispettose di tutti e di tutto ciò che non sia feroce chiacchiericcio reazionario, non è semplice. Come ha scritto il dott. Stella
fino a qualche anno fa gli scienziati si distinguevano per la prudenza con cui esprimevano giudizi, soprattutto in domini estranei alla loro pratica di studio e di ricerca. Erano stati educati e disciplinati dal duro e lungo lavoro di verifica e confutazione a dubitare delle semplificazioni e a rispettare le ricerche condotte da altri scienziati, senza per questo esimersi dal porre domande e sollevare dubbi, ma evitando di esprimere giudizi definitivi che li avrebbero esposti a brutte figure…
Ora questo tempo non è più. Ma non disperiamo in tempi migliori, per il bene dei nostri alunni e dei nostri figli.
renata
4 giugno 2010
Le tabelline servono anche per la divisione.
Certo il metodo cinese presenta qualche vantaggio di memorizzazione, ma, se un bambini non ancora espertissimo deve eseguire 58 : 7, che fa se non conosce la successione completa della tabellina del 7?
Leggerò con calma il pdf, grazie.
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Maria Grazia
4 giugno 2010
Dato che, di fatto, la tabellina cinese mi è servita per favorire la memorizzazione della tavola pitagorica ti posso confermare che – da questo punto di vista – funziona sicuramente.
La nostra modalità di effettuare la divisione (quella cinese non la conosco ancora) richiede in effetti una conoscenza diciamo “lineare” della successione che però non viene ignorata. Diciamo che, da un certo punto di vista, è come se sostenessimo con il ragionamento l’acquisizione dei fatti numerici.
Ad esempio, ipotizziamo di iniziare la memorizzazione della tabellina del 3. Diciamo che il concetto dell’effetto dello 0 e dell’1 è acquisito o almeno ben agganciato alla memoria grazie alla storia inventata (qualunque essa sia ma che sia d’effetto!). Verrà richiamato ogni volta alla memoria davanti al 3X0 e al 3X1 e sarà inizialmente un effetto del ragionamento invece che della semplice memorizzazione.
Poi si giunge al 3X2 a cui non si dà una risposta ma si “recita” (che sia chiaro, non è uno standard ma ormai dopo tante volte che lo ripeti lo diventa): “3X2 non lo conosciamo ma sappiamo quanto fa 2X3, quindi conosciamo anche 3X2 che fa…6”. E via dicendo. Ovviamente, man mano che vai avanti il lavoro si fa più complesso.
Quello che fa la differenza è che non vai ad “occupare altra memoria” ma a “linkare” il risultato già memorizzato (passami l’analogia), ottenendo al tempo stesso l’effetto di rinforzarlo. Non è più “facile” e richiede ugualmente impegno ma attiva diverse aree di competenza mediante diverse strategie facilitanti.
Un ulteriore differenza è nel recupero rapido che sembra un po’ confermare quell’effetto rinforzo di cui ti dicevo prima e rivelare una specie di preferenza mnemonica per una certa moltiplicazione invece che un’altra (con gli stessi fattori ovviamente). All’inizio, davanti all’incertezza, basta chiedere di invertire i fattori e il risultato viene recuperato.
Comunque mi farebbe piacere una tua ulteriore opinione sull’argomento quando avrai letto il PDF (presuppongo quello di Andreas). Siamo qui per rifletterci su 🙂
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renata
6 giugno 2010
Non ho usato se non in un secondo tempo come ripasso il “metodo cinese”, e, a parte un paio di alunni con difficoltà, tutti avevano in seconda elementare memorizzato la tavola pitagorica con discreta sicurezza.
Non si sono poi lamentati della fatica o della noia, di solito la cosa piace.
Alcuni hanno imparato direttamente in classe (lavoro in un tempo pieno) meravigliando le mamme ;), grazie alle diapositive di Impress che vedi al link che ho indicato nel precedente commento (ma in anni precedenti avevo usato altro) e ai “coretti”.
La componente uditiva è anche importante (hai presente quel video – http://www.youtube.com/watch?v=IJY-NIhdw_4 -che contestava l’approccio antico, indicato come attività sommamente noiosa, spacciato per… nuova tecnologia anch’essa noiosa? Perché cambiare poi se la cosa funziona, si cambia se non funziona, con me i coretti funzionano eccome.
Quante risonanze emotive ha unire la propria voce a quella degli altri?
Prova a chiedere ai piccoli di recitare “arrabbiatissimi” la tabellina del sette, oppure di ripetere “senza quasi farsi sentire” quella dell’otto, fai difficoltà a farli smettere. Mi sembra che siamo al mito dell’innovazione e all’equazione passato=male, senza neppure sapere bene che sia il passato).
Per me le tabelline non sono in un certo senso… matematica 😉 e della didattica delle tabelline ho scarso interesse. Mi interessa certo di più come far capire il concetto di moltiplicazione e la sua operazione inversa.
Tuttavia “trasmetto” ai piccoli il senso di questo sapere come fondamentale, perché in un certo senso lo è. Facendo un parallelo, in una indagine molto all’acqua di rose, meglio dire in una chiacchierata, ho notato che gli alunni che sembravano più “portati” per la matematica erano quelli che “maneggiavano” molto i numeri, a esempio contavano, anche all’indietro, per prendere sonno o per passare il tempo.
La conoscenza verbale della serie dei numeri di per sé non indica affatto il possesso del concetto di numero, vedi Piaget. Eppure possiamo considerare inutile esercizio la ripetizione meccanica dei numeri fatta decine e decine di volte che i bambini mettono in atto? Gli intrecci fra meccanismi, ripetizione e componente intelligente e creativa ci sono. Togliere o limitare l’esercizio porta davvero un vantaggio a favore di altre capacità più intelligenti? O è questo un terreno da formare e da cui partire, un terreno che forse – dico forse – dà anche una specie di familiarità psicologica e non solo logica?
Sul fatto poi che sia necessario memorizzare “di meno” per non appesantire la memoria c’è anche da discutere, “più alleni la memoria più spazio hai” mi verrebbe da dire, senza dimenticare anche qui le differenti caratteristiche individuali e senza che questo significhi contestare il metodo cinese.
I bambini in Cina, testimonianza diretta, dopo otto ore di scuola, si sorbiscono tranquillamente i compiti di casa senza fiatare. Diciamo che i nostri alunni fiatano sicuramente un po’ di più, lo “sforzo” non viene loro tanto… naturale. In Cina come in tutti i paesi asiatici c’è una cultura molto attenta alla matematica, vedi qui i programmi di Singapore a esempio (l’inizio della scuola è a sette anni):
http://utenti.quipo.it/base5/scuola/singaporemath.htm
Ciao
r.
p. s. – mi riferivo al pdf di Camillo Bortolato. Ora ho scaricato tutti i pdf che hai indicato. Troverò il tempo di leggerli e non solo di scorrerli con lo sguardo come ho fatto.
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Maria Grazia
6 giugno 2010
Sono in partenza e, sfortunatamente, ho potuto dare solo una lettura veloce al tuo interessantissimo commento. Del resto, ho dato uno sguardo al tuo sito (su cui ero già venuta) ma non ho avuto il tempo di approfondirne la nutrita scorta di materiali. Fammi liberare da 3-400 cose in sospeso e mi ci dedicherò con calma 😀
Al momento posso solo dirti che non sono diventata una fan del metodo cinese tout court 😀 ma mi offre spunti interessanti per cercare di capire se certe criticità possono essere più imputabili a fattori specificatamente culturali (quali la lingua e i processi di pensiero ad essa connessi) più che metodologici (posto che anche questi sono ovviamente influenzati dalla cultura in cui si sviluppano). Che è quello su cui mi propongo di scrivere più avanti (spero).
A rileggerci presto 🙂 MG
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Martina
18 aprile 2013
Cara Maria Grazia, devo recuperare un bellissimo gioco con i numeri, che avevo trovato in Germania, così che ti faccio alcune foto delle carte su cui sono i numeri con forme e colori che aiutano a ricostruire le tabelline, i numeri primi, e molto altro…
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Maria Grazia
19 aprile 2013
grazie Martina. Ne sarei contentissima. Così ricominciamo a ragionarci su…
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