Il “marziano della Rete” che c’è in noi

Posted on 24 Maggio 2008

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Poiché la comunicazione è il fondamento su cui si basano sia il pensiero e la conoscenza individuale, sia quella forma di pensiero e conoscenza collettiva che chiamiamo cultura, ne consegue che la natura degli strumenti del comunicare diventa un fattore di trasformazione del pensiero, della cultura e dunque della società. [M. McLuhan]

Per noi che ci troviamo in mezzo a questa trasformazione, nativi o immigranti digitali che siamo, l’appropriazione culturale di questa nuova compagine societaria non è certo semplice.

Prensky ci ricorda che

our students are no longer “little versions of us,” as they may have been in the past

anche se io mi chiedo se ci siano veramente state, fin dalla notte dei tempi, delle generazioni che non si siano distinte, in qualche maniera, da quelle che le hanno precedute.

Comunque sia, sembra che il problema oggi sia più evidente che in passato e che emerga in tutta la sua complessità nella contrapposizione tra nativi e immigranti digitali, attraverso cui si presuppone – in qualche maniera – che si sia compiuta quell’evoluzione psicotecnologica (per dirla alla de Kerckhowe) che ci pone (noi nati prima degli anni ’80 e per questo identificati come immigrati in questa realtà interconnessa) di fronte ad una generazione di cyborg.

I’ve coined the term digital native to refer to today’s students (2001). They are native speakers of technology, fluent in the digital language of computers, video games, and the Internet. I refer to those of us who were not born into the digital world as digital immigrants. We have adopted many aspects of the technology, but just like those who learn another language later in life, we retain an “accent” because we still have one foot in the past. We will read a manual, for example, to understand a program before we think to let the program teach itself. Our accent from the predigital world often makes it difficult for us to effectively communicate with our students. [Prensky]

Ad essere sincera, quando si parla di “nativi digitali” mi sembra talvolta di trovarmi di fronte ad una costruzione concettuale più che a una realtà concreta, ad un idealtipo direbbe Weber.

Il tipo ideale non è la rappresentazione fedele di un dato reale, ma è idealizzazione, in quanto concetto costruito mediante l’accentuazione di determinati elementi della realtà empirica.

Vorrei capire, cioè, se lo stesso concetto di competenza digitale elaborato in sede europea (pdf) non sia un tentativo di addomesticamento della realtà, una sorta di colonizzazione da parte di noi immigranti per “normalizzare” nuovi fenomeni comunicativi.

La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa è supportata da abilità di base nelle TIC:
l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet.

Per ciò che concerne la dimestichezza, la mia esperienza in ambito universitario mi pone continuamente di fronte a studenti che hanno grossi problemi con l’utilizzo del PC in genere e che spesso ne ignorano le reali potenzialità comunicative. Escludendo la messaggistica istantanea, lo scambio p2p e myspace, ben poco sembra rimanere… Se a questo aggiungiamo poi il disinvolto utilizzo dei materiali interamente copiati, senza uno straccio di link né un minimo di valutazione sulla validità della fonte citata, il quadro si completa.

E in questo, ben poco sembra distinguere questi nativi da quella massa di immigranti che preme alle porte e la cui pericolosità potenziale è stata stigmatizzata da Faceparty, social network britannico, che ha cancellato gli account degli utenti over36 che non è riuscito ad identificare, in quanto potenziali “sex offender”.

A controbilanciare la notizia, interviene però la moratoria sulle tecnologie di comunicazione e intrattenimento, decisa da un collegio privato di Strasburgo che ha “deciso di vietare agli studenti anche solo di toccare per un periodo di dieci giorni console, TV, lettori DVD e quant’altro sia riconducibile all’era digitale.”

Il problema del controllo sociale emerge stridente come sintomo di un sempre più crescente disorientamento istituzionale e culturale, in cui fanno quasi “tenerezza” proposte quali quella di “stabilire quali parole possano essere cercate su Google e quali no”.

Non resta che da chiedersi (sulla scia di Fabio Giglietto) chi, in realtà siano i marziani della parte abitata della rete o se, alla fin fine, c’è un po’ di marziano in tutti noi…

Update: ovviamente non tutti i nativi sono uguali 😉