Sul concetto di dispositivo pedagogico: studiare prima di criticare

Posted on 5 gennaio 2010

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Sto ribollendo da un’oretta facendo la spola tra il PC e la libreria, scrivendo e riscrivendo mentalmente questo post per evitare di rompere quelle regole sulla netiquette a cui tengo tanto. Però zitta non posso stare. Comincerò dunque dall’inizio.

A partire dall’aprile scorso, il concetto di dispositivo pedagogico è rientrato tra le chiavi di ricerca più gettonate di questo blog. Grazie a Margherita ho poi scoperto il motivo di tutto questo interesse: le lezioni di Bertagna sull’argomento, in un master sulla dirigenza scolastica. Non entro nel merito perché non c’ero ma i commenti degli astanti sembrano rilevare qualche difficoltà interpretativa…

La cosa in sè non mi meravigliò più di tanto perché i concetti di Massa non sono certo di facile digeribilità, soprattutto finché non capisci che prima devi studiare Foucault e poi devi tornare sui suoi libri. E ci devi continuare a ritornare tutte le volte che lo citi perché hai sempre la sensazione che qualcosa ti sia sfuggito.

Posto ciò, scrissi un post in cui fornivo a Margherita qualche consiglio bibliografico per venire in qualche maniera a capo del concetto e la storia è più o meno finita lì, pur continuando un certo via vai sull’argomento.

L’approdo su Speculum Maius di Stefania (che segue invece il master a Bergamo), qualche giorno fa, mi ha riportato alla mente la vicenda ed incuriosito anche un po’, dato che la chiave di ricerca più gettonata ultimamente è: “i dispositivi pedagogici per i dirigenti scolastici“………. O_O

Cito da Massa (pp.130-131):

“Dispositivo” è termine che abbiamo ripreso da Foucault e teorizzato per primi in pedagogia, ma che oggi viene usato disinvoltamente per indicare qualsiasi elemento normativo e istituzionale. Quando dovrebbe evocare il sistema incorporeo delle procedure in atto nell’istituzione scolastica e in qualunque situazione educativa.

Il che mi fa sorgere il sospetto che non si stia parlando della stessa cosa o che il concetto in questione sia travisato o “usato disinvoltamente”, come scriveva lo stesso Massa.

Personalmente non ho mai ascoltato né letto Bertagna a proposito di dispositivi pedagogici e le sue interpretazioni restano sue: certe cose si discutono tra “pari” 😉 e comunque solo dopo aver verificato in prima persona.

Però… (e qui arriviamo al dunque) la Critica al concetto di dispositivo pedagogico di Luigi Gaudio merita tutte le mie puntualizzazioni, sia perché – ricercando “Bertagna dispositivo pedagogico” – è il terzo risultato utile (e dato l’interesse che c’è in giro è il caso di controbattere), sia perché il contributo rivela una certa “disinvoltura” e superficialità nel trattare un argomento che, almeno nella forma, andrebbe curato un po’ di più.

Partiamo dall’inizio, e quindi dal titolo.

Critica al concetto di dispositivo pedagogico indurrebbe a pensare ad un’approfondita dissertazione sul tema a partire dal concetto originario (Foucault) per poi passare alla sua trasposizione in campo pedagogico (Massa) ed auspicabilmente proseguire per più proficue piste di ricerca (e puntuali citazioni), invece che ad un frettoloso copia-e-incolla assemblato senza neanche curare gli errori di battitura.

Ed infatti l’incipit viene ripreso sic et simpliciter da un non meglio identificato testo di Mantegazza sull’argomento (in particolare dalla nota 3 di questa pagina), da cui poteva eliminare anche la parentesi finale così come ha saltato l’inciso “indubbiamente di difficile definizione”.

Dopo averci informato che era pedagogista (solo?) e docente alla Milano Bicocca (ignorando probabilmente che è stato lui a fondare la Facoltà di Scienze della Formazione in quell’ateneo, come si può leggere anche qui), scopriamo quindi che

egli ha indagato la pedagogia con uno sguardo clinico, con un’impostazione scientifica, con le pretesa di veder cambiare l’allievo, di non lasciarlo com’è.

Tralascio, per carità di patria, domande provocatorie circa il significato dell’affermazione relativa alla necessità di dichiarare la morte della pedagogia (vedi Rezzara, p.49) o come metodo sperimentale e metodo clinico convivevano nella comprensione e interpretazione di un caso concreto o una situazione individuale, senza limitarsi a spiegare soltanto certi fenomeni in termini generali (ibidem, p.52).

Così come mi è oscura l’affermazione circa le [sic] pretesa di veder cambiare l’allievo, di non lasciarlo così com’è, se non alla luce delle per me nebulose affermazioni successive circa il dispositivo pedagogico (che viene scambiato e confuso con il setting pedagogico) , di cui è chiaro che la comprensione concettuale è ben lontana.

Il dispositivo pedagogico non è il punto di vista dell’educatore: quest’ultimo è parte del dispositivo stesso anche quando non se ne rende conto. Ma credo che, entrare nel merito sia inutile, dato che mancano i presupposti fondamentali per argomentare le proprie posizioni, inclusa la conoscenza del fatto che Francesco Cappa e Anna Rezzara hanno lavorato direttamente con Riccardo Massa che, magari, glielo avrà spiegato de visu il concetto. Mi sembra un po’ strano pertanto attribuire il loro riferimento al termine incriminato come

termine alla moda per chi oggi vuole intraprendere un discorso pedagogico.

Posto ciò, chiudo qui, rammaricata di non aver potuto riportare le mie osservazioni in calce alla “Critica” ma sono certa che il web provvederà.

Per gli aspiranti dirigenti, un paio di rivelazioni:

1) i dispositivi pedagogici per dirigenti non esistono;

2) in Rete sull’argomento c’è poco e niente e le libere interpretazioni dell’interpretazione data dal prof. Bertagna non vi aiuteranno. Rivolgetevi ai cari vecchi libri: non c’è scampo! 😉